Montagna e allevamento: nelle malghe regnano le donne
Nelle malghe la “repubblica delle donne”
La montagna riparte dagli alpeggi: +46%
Nelle malghe la “repubblica delle donne”
La montagna riparte dagli alpeggi. Negli ultimi dieci anni – spiega la Coldiretti Lombardia su dati regionali – le malghe utilizzate per il bestiame sono aumentate del 46% passando dalle 609 del 2006 alle 890 del 2015 con oltre 36mila capi bovini portati sui pascoli in altura contro i 22mila del passato. “Si tratta di un buon segnale – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia – che fa ben sperare circa il futuro non solo di tante produzioni tipiche ma dello stesso ambiente considerato il ruolo di salvaguardia e tutela che gli agricoltori svolgono in zone disagiate come quelle di montagna”.
Le malghe lombarde – spiega Coldiretti sulla base dell’ultima indagine della Regione – sono distribuite in particolare fra Sondrio, Brescia e Bergamo, ma sono presenti anche a Varese, Como e Lecco, in posti che vanno dai 966 metri della zona del Lario Intelvese ai 2.463 metri dell’alta Valtellina. La salita in alpeggio di solito inizia i primi di giugno per il rientro intorno alla metà di ottobre. L’età media è sotto i 45 anni, ma ci sono alpeggiatori anche molto più giovani.
Come Roberta Tenderini che ha 22 anni e segue la malga Ariale, a 1.330 metri di altitudine, nel Comasco: “Hanno iniziato i miei genitori nel 1997. Dopo la scomparsa di mia madre, l’attività è passata a me nel 2012. All’epoca studiavo ancora da perito meccanico. Ho sistemato alcune strutture e sono riuscita a riprendere la monticazione delle vacche da latte, nel 2015 ho aperto l’agriturismo e quest’anno ho aggiunto anche le capre. Produciamo burro e formaggi”. Una vita dura, ma sulla lavagnetta davanti alla sua baita Roberta ha scritto: “La ricchezza più grande che possediamo, quando alla mattina apriamo gli occhi, è il giorno che abbiamo davanti”.
Stesj Buccio, 29 anni, vive a Bagolino (Brescia), è diplomata in ragioneria ma è da quando è nata che i genitori la portano alla Malga Valbuna, dove un torrente la divide dal Trentino. Per telefonare deve trovare un punto dove il cellulare prenda, come il masso su cui sale per avere almeno una tacca: “In questo mestiere ci devi essere nato, altrimenti non lo fai. Il bello è l’aria aperta, il paesaggio, la tranquillità che hai nel lavorare. Poi c’è la fatica e i problemi, come quando c’è brutto tempo ma le mucche devono mangiare lo stesso. Poi è chiaro che non faccio la vita degli altri, non posso stare fuori in discoteca fino alle 4 se poi alle 5 devo lavorare. I miei amici mi vengono a trovare d’estate in alpeggio”. La malga Valbuna da giugno ai primi di ottobre è una piccola Repubblica montana delle donne: “Siamo io e mia sorella, che ha tre figlie, due gemelle di 9 anni e la più piccola di 3 e d’estate le porta qui con noi. Poi c’è mio padre Aldino. Siamo produttori di Bagoss da generazioni. Scenderemo a valle tra fine settembre e inizio ottobre. Il bello è che nei primi giorni la gente mi guarda e mi saluta come se fossi appena tornata da lungo viaggio”.
Giuseppe Palamini 25 anni, della provincia di Bergamo, ha iniziato ad andare in alpeggio con il padre a 5 anni, il 12 giugno scorso ha portato il suo gregge di 1.200 pecore all’alpeggio Gleno in valle di Scalve e adesso ha riportato il gregge a valle, nella sua stalla di Parre. “Nei primi giorni abbiamo avuto qualche episodio di maltempo ma poi il clima si è stabilizzato e il foraggio è venuto su bene. E’ stata una buona annata”.
Davide Gobbi, 38 anni, di Margno (Lecco), lavora sull’Alpe Pian Delle Betulle, e a prendere l’aria buona dei monti lombardi porta anche i maialini: “Ricordo ancora quando le nonne salivano all’alpe, oltre alle capre avevano un paio di mucche a testa. Fu la mia mamma ad ingrandire l’attività, oggi sono io a salire in alpeggio con una cinquantina di capre, una ventina di mucche e vitelli e anche due otre maiali”. Un lavoro, ma anche una passione coltivata fin da bambino: “Avevo 12 anni quando salii in alpeggio la prima volta. Ora mi avvicino ai 40 e sono già 15 anni che ‘carico’ da solo greggi e mandrie sull’alpe. Le difficoltà? Certo che ci sono: si trascorrono qui 120 giorni l’anno, molti lontano dalla famiglia: i miei figli, ad esempio, mi raggiungono solo quando la scuola è finita. Bisogna conoscere la natura, i suoi ritmi e i suoi tempi, senza fare azzardi: soprattutto, occorre fare massima attenzione ai temporali, che per le bestie possono essere molto pericolosi. La vita in alpeggio - conclude Davide - non è cambiata moltissimo negli anni: certo, sono arrivate alcune migliorie come il sistema dei recinti mobili. Ma soprattutto è rimasta la tradizione di produrre i formaggi tipici, come il semigrasso che facciamo quassù. Formaggi con pochi ingredienti come una volta: latte, caglio e sale. Oltre a tanta passione”.