Siamo alla vigilia della manovra finanziaria, il primo vero banco di prova per questo governo che dovrà sciogliere diversi nodi che nel frattempo si sono stretti in modo sempre più inestricabile.
Innanzitutto si devono rispettare i parametri imposti dall’Europa ed il tetto del 3% tra deficit e pil, per evitare che salga lo spread. Tria lo ha spiegato bene: sforare il 3% equivale a pagare più interessi sul debito, oltre ad esporlo ad un ulteriore probabile declassamento e questo rischio non possiamo permettercelo. Bisogna sempre ricordare che l'aumento dello spread non è un'immagine astratta campata in aria: vuol dire immediatamente, per esempio, meno prestiti per veri investimenti produttivi - cioè quelli privati - e quindi prospettive di recessione, che si avvitano in un perverso circolo vizioso che impone nuove tasse per inseguire le spese e a sua volta distrugge l'economia. Al tempo stesso, però, si deve dare seguito alle promesse elettorali contenute nel “contratto di governo”, quindi da un lato la flat tax e dall’altro il reddito di cittadinanza.
È ancora molto difficile anticipare il contenuto della finanziaria, perchè nel governo convivono 3 anime: quella del Ministro dell’Economia e delle Finanze Tria che tende a rassicurare i mercati e l’Europa, quella della Lega, che oltre alla sicurezza ora deve assolutamente dare risposte concrete alle imprese, soprattutto del nord e poi c’è l’azionista di maggioranza del governo, il MoVimento 5 stelle, che non puó deludere i milioni di elettori, soprattutto al sud, in attesa del reddito di cittadinanza.
In una tale situazione le opposizioni dovrebbero avere buon gioco a mettere alla berlina il governo che, con ogni probabilità non riuscirà a realizzare a pieno né la flat tax né il reddito di cittadinanza, ma né il PD, né quel che resta del centrodestra sono in grado di farlo, a corto di contenuti e di una linea alternativa vincente e capace di erodere il consenso dell’attuale maggioranza.
Cerchiamo allora di capire il perchè.
Il PD, in perenne faida interna, ritiene la flat tax una manovra che agevola i "ricchi" - dove, attenzione, per "ricchi" si intendono partite IVA con 40 o 50 mila euro di reddito lordo annuale - e quindi parte già perdente sul fronte fiscale. Rivendica il diritto d’autore sul reddito d’inclusione, per cui al 5 stelle non rimane altro che scavalcare la sinistra sul suo stesso terreno e declinare il provvedimento in modo tale da poter dire “noi abbiamo fatto di più”, accompagnando questo ennesimo sussidio da disastrosi progetti di nazionalizzazione di interi comparti dell’economia e dell’industria, in perfetto stile dirigista e statalista, tanto caro anche alla nostra sinistra sociologica parastatale ed al suo elettorato che a questo punto perché mai dovrebbe lasciare il 5 stelle e tornare a votare PD?
Quel che resta del centrodestra è terrorizzato dall'idea di elezioni anticipate. Non ha più una bussola, una vision ed una linea di coalizione ben definita, in passato non è mai stato in grado di ridurre le tasse, oggi non può fare opposizione al formidabile Matteo Salvini, che riesce a giocare su due tavoli - governo e centrodestra - da abilissimo giocatore, rimanendo il Ministro forte del governo giallo-verde ed il leader riconosciuto del centrodestra. Oramai Forza Italia come anche FDI non riescono più, se non con qualche intervistina indolore, e qualche bau bau in parlamento ad incalzare il governo sul vero punto debole che ha, sul fronte liberale della drastica riduzione della spesa pubblica, del debito e delle tasse. Quel che resta del centrodestra - senza la Lega - non è quindi al governo, non può fare una vera opposizione e non riesce più a motivare nuovi sostenitori, perdendo gradualmente quote consistenti di consenso come confermato da tutti i sondaggi.
Ci troviamo quindi e nonostante tutto di fronte ad un governo politicamente solido che, salvo un suicidio, non potrà che sopravvivere a questa finanziaria e anche se si dovesse tradurre in un timido avvio del contratto di governo, sarà pur sempre considerato un inizio del tanto evocato "cambiamento". Il rischio è che questo “cambiamento” possa invece assumere la forma di un disastroso e illusorio ritorno agli anni 70, a quelle pratiche di spesa senza coperture che da un lato ci potevamo 'permettere', perché allora eravamo un paese molto più giovane e ancora in crescita, e che dall'altro hanno gettato le basi di un declino che dura e di cui paghiamo le conseguenze ancora oggi.
In questo quadro c’e un vuoto, uno spazio, peraltro mai realmente coperto, per la costruzione di un’are politica nuova, di opposizione, in chiave liberista, da un lato al nazionalismo neo-sovranista, dall’altro anche a tutte le altre forze politiche tradizionali di sinistra e di centrodestra, pur sempre stataliste, e/o traditrici del famoso spirito liberale del ‘94.
Una forza che si dovrebbe battere per un Europa federale (modello USA) in cui vige la concorrenza fiscale tra stati, ma con un’unica linea politica forte e coesa su Immigazione, Esteri e Difesa. Insomma, una cosa esattamente opposta a quello che chiedono i nostri europeisti dirigisti, di destra e di sinistra, che invocano “l’armonizzazione fiscale europea” (nient'altro che una scusa per consentire ai nostri politicanti di continuare a comprarsi letteralmente il consenso, distribuendo posti pubblici e spremendo i contribuenti senza dover temere che l'economia produttiva si sposti altrove). Permettendo invece agli stati membri di farsi concorrenza proprio laddove ci dovrebbe essere integrazione e coesione, cioè su Immigrazione, politica Estera e Difesa, una linea opportunista e miope che farà crescere il nazionalismo neo-sovranista, anche alle prossime elezioni europee. Siamo sicuri che tutto il centro-destra italiano - e ci riferiamo qui non tanto alla classe dirigente, quanto all'elettorato - desideri questo?
Purtroppo questa inedita, non formalizzata e non dichiarata davanti agli elettori, alleanza di governo è tenuta insieme dal collante del potere, ma non solo da quello. E' tenuta insieme purtroppo anche da un pericoloso rigurgito di statalismo, presente in maniera ossessiva e straripante nei Cinque Stelle, ma presente in forma più dissimulata anche nella Lega. Questo, sommato anche a grandissima parte delle opposizioni, ammonta purtroppo a quasi il 100% dell'attuale 'offerta' politica. Ma, e qui si pone una questione essenziale, corrisponde anche alla 'domanda'? Noi riteniamo di no. Riteniamo che ci sia spazio per una forza politica di opposizione a questo governo, ma anche ai partiti tradizionali, che punti ad esempio alla chiusura del 90% delle società partecipate dalle regioni e dai comuni e il relativo enorme codazzo clientelare; che punti a mettere a gara i servizi pubblici locali, a valorizzare e/o vendere l’enorme patrimonio immobiliare pubblico abbandonato, a digitalizzare completamente i servizi della PA, per semplificare la vita ai cittadini ma anche per sfoltire l’organico e non per infornare altri 450.000 mila dipendenti pubblici.
Una forza liberista che proponga di dimezzare subito ed in modo strutturale il cuneo fiscale per le imprese private in caso di nuove assunzioni, portando su valori fisiologici il livello di disoccupazione e degli inattivi.
Un programma espansivo di rilancio dell’economia, dove per 'espansivo' non si intende più deficit, nell'illusione tragica che sia questo a creare crescita (e perché non portarlo al 20% allora?). Un programma basato su taglio della spesa pubblica improduttiva, del parastato e del debito che consenta poi di trovare i fondi per dare un sussidio di disoccupazione (a tempo) per chi perde il lavoro ed un reddito minimo garantito per chi dimostra di essere alla ricerca di un lavoro (e non di un posto). A questo proposito, non si ricorderà mai abbastanza a qualcuno che il corollario della Flat Tax di Milton Friedman è l'imposta negativa sul reddito, una forma di integrazione ben diversa da quella di demagogici redditi di sudditanza.
Ma la vera domanda è chi avrà il profilo, la storia ed il coraggio di interpretare questo vuoto, chi saranno i protagonisti di questa nuova forza politica liberista?
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