Home
Guerra in Ucraina, Europa divisa sulle spese militari fuori dal Patto. Ecco chi vuole inviare soldati e chi no
Spese militari e risoluzione di pace per Kiev: Europa sempre più spaccata dopo il vertice di Parigi. Una panoramica delle posizioni dei vari Paesi presenti al summit di Macron

Guerra in Ucraina, Europa divisa sulle spese militari fuori dal Patto. Ecco chi vuole inviare soldati e chi no
Il vertice del 17 febbraio all’Eliseo si è concluso quasi con un nulla di fatto. Dopo quasi quattro ore di discussione, il messaggio più chiaro e condiviso tra gli undici partecipanti è stato il sostegno incondizionato dell’Europa – insieme alla Nato – a Kiev. Tuttavia, resta molta incertezza sul percorso verso la pace e sul ruolo che il continente dovrà assumere in questo processo.
Non è emerso se la riunione, fortemente voluta da Emmanuel Macron, avesse un’agenda ben definita. Ciò che si è saputo, però, è che una delle proposte discusse, l’invio di truppe europee come forza di deterrenza dopo un eventuale accordo – stimato tra le 25 e le 30mila unità secondo il Washington Post – non ha riscosso grande consenso. Solo il premier britannico Keir Starmer si era detto favorevole alla vigilia del summit, mentre la maggior parte degli altri leader ha mostrato freddezza, se non addirittura irritazione. Anche la Francia di Macron si è detta pronta a inviare truppe in Ucraina.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, primo a lasciare il vertice per rientrare a Berlino in vista di un dibattito elettorale, ha definito "altamente inappropriato" discutere ora dell’invio di truppe in Ucraina. Una posizione condivisa anche dal premier spagnolo Pedro Sánchez, che ha sottolineato come la guerra sia ancora in corso.
Anche la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha espresso perplessità, non solo sulla proposta, ma anche sul formato dell’incontro, evidenziando l’assenza di alcuni Paesi in prima linea, come le repubbliche baltiche. Ha inoltre ribadito la necessità di mantenere una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, considerati un attore imprescindibile per la sicurezza europea.
L'Europa si trova di fronte anche a un bivio: da un lato, la necessità di rafforzare le proprie capacità di difesa alla luce delle incertezze sulla politica estera Usa; dall'altro, il rispetto dei rigidi vincoli di bilancio imposti dal Patto di Stabilità. Il presidente dell'Eurogruppo, Paschal Donohoe, ha sottolineato come l'attuale quadro normativo consenta una certa flessibilità per rispondere alle emergenze nazionali.
La Commissione Europea starebbe esplorando un'ulteriore possibilità: una deroga specifica per gli Stati membri che intendano incrementare la spesa militare, senza però estendere questa misura a livello comunitario. Cioè permettere ai singoli Paesi di aumentare la spesa militare senza dover rispettare i limiti di bilancio imposti dal Patto di Stabilità, un eccezione che non verrebbe applicata a tutta l'Unione Europea, ma solo agli Stati che ne fanno richiesta e ottengono l'approvazione.
Un'ipotesi più radicale, che prevedrebbe una sospensione generalizzata del Patto di Stabilità, come già avvenuto durante la pandemia e dopo l'invasione russa dell'Ucraina, incontra però la ferma opposizione della Germania. Il ministro delle Finanze uscente, Jörg Kukies, ha ribadito lo scetticismo tedesco, sostenendo che l'attivazione di una clausola di salvaguardia generale richiederebbe una crisi economica di grande entità. Più realistico, secondo Berlino, sarebbe permettere agli Stati di agire autonomamente, chiedendo alla Commissione Europea di valutare caso per caso eventuali esenzioni dal rispetto dei parametri di bilancio. Questa opzione, già prevista per situazioni eccezionali fuori dal controllo dei governi, potrebbe essere formalizzata nel cosiddetto "Libro bianco sulla difesa", atteso per le prossime settimane.
In concreto, ogni Stato interessato a finanziare l'aumento delle spese militari in deficit dovrebbe presentare una richiesta alla Commissione, che emetterebbe un parere in merito. Spetterebbe poi al Consiglio dell'UE, con voto a maggioranza qualificata, approvare o respingere la proposta.
Il problema principale resta la disomogeneità tra gli Stati membri: i Paesi con conti pubblici più solidi, infatti, potrebbero non aver bisogno di deroghe e difficilmente accetteranno un sistema che favorisca solo i governi più indebitati. Questo squilibrio alimenta un crescente malcontento: alcuni leader europei, come il ministro francese Éric Lombard, ritengono che il peso della difesa debba essere equamente ripartito, in modo da garantire un'autonomia strategica comune. Altri, invece, come il ministro spagnolo Carlos Cuerpo, suggeriscono invece di sfruttare strumenti finanziari già esistenti, come, per esempio, la Banca Europea per gli Investimenti o il Meccanismo Europeo di Stabilità, per sostenere le spese militari senza creare nuove forme di indebitamento congiunto.
Tra le soluzioni sul tavolo, rimane esclusa, almeno per il momento, l'ipotesi di un debito pubblico comune, simile a quello introdotto con il Recovery Plan. Questa prospettiva è stata respinta con fermezza dai Paesi cosiddetti "frugali", (cioè Austria, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi), in questo caso in particolare dai Paesi Bassi, che temono che un simile strumento non faccia altro che rinviare il problema, lasciando alle future generazioni il peso del debito accumulato. Alcune dichiarazioni recenti lasciano tuttavia intravedere possibili aperture: la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha evocato la necessità di un "pacchetto finanziario per la sicurezza europea" sul modello delle misure straordinarie adottate durante gli anni della pandemia di Covid-19. Resta da vedere se questa proposta troverà spazio nelle future trattative, soprattutto dopo le elezioni tedesche, che potrebbero ridefinire gli equilibri politici interni ed europei.
L'Italia ha già avviato un significativo incremento delle spese militari: nell'ultima legge di bilancio, il governo Meloni ha destinato complessivamente 32 miliardi di euro alla difesa, di cui 13 miliardi per l'acquisto di armamenti. Se si volesse raggiungere l'obiettivo del 5% del PIL in spese militari, come auspicato da Washington, l'Italia dovrebbe destinare fino a 100 miliardi di euro all'anno alla difesa, con ben 80 miliardi esclusivamente per l'acquisto di mezzi e armamenti.
Secondo l'Osservatorio Mil€x sulle spese militari italiane un tale aumento delle spese comporterebbe anche la necessità di reperire 480mila nuovi soldati, con evidenti conseguenze sul bilancio pubblico e sulla sostenibilità economica del Paese.
Leggi anche/ Draghi mette in riga l'Europa: "Per salvare l'Unione servono 800 miliardi di euro l'anno" - Affaritaliani.it