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Il Comune di Gragnano mette alla gogna online i cittadini indigenti
L'amministrazione della città della pasta aiuta i bisognosi con i buoni spesa ma li umilia violando la loro privacy pubblicandone i nomi sul sito del comune
Tra le misure che sono state varate nel periodo dell’emergenza sanitaria del Coronavirus, sono stati previsti anche degli aiuti per le famiglie che si trovano in difficoltà economiche. Come se già non fosse abbastanza umiliante superare il senso di disagio che si può provare rivolgendosi al proprio comune di residenza per chiedere il denaro per procurarsi i generi di prima necessità per sopravvivere alla crisi, il Comune di Gragnano ha aggiunto anche la gogna mediatica per le persone meno abbienti che fanno richiesta dei buoni spesa.
Volendo gestire i fondi in maniera fin troppo trasparente, il sindaco del comune in provincia di Napoli, ha infatti disposto la pubblicazione degli elenchi completi di tutti i cittadini che hanno fatto richiesta dei buoni spesa, con tanto di nome, cognome, e scanso equivoci o scambi di persona, specificando pure la loro data di nascita, includendo inoltre nelle liste non solo i 701 richiedenti che sono stati ammessi all’agevolazione, ma anche gli altri 82 a cui l’aiuto è stato invece negato, dando così adito a tutti i possibili giudizi e pettegolezzi dei loro concittadini e dell'opinione pubblica, che è stata subito coinvolta attraverso i vari canali dei social network.
Se è vero che la città di Gragnano è una delle eccellenze italiane nota per la produzione e l'esportazione di pasta a livello europeo, d'altra parte la scarsa sensibilità per la privacy e per la dignità dei propri cittadini non si dimostra alla stessa altezza.
Tale negligenza nei confronti della normativa sulla protezione dei dati personali è evidente anche dal fatto che, nonostante il Gdpr sia entrato in vigore ormai da due anni, il sito istituzionale del comune campano continua ad utilizzare una connessione non sicura basata sul vecchio protocollo "http", e per questo è etichettato come "non sicuro" dai principali browser.
Inoltre, l'informativa sulla privacy pubblicata nel sito fa ancora principalmente riferimento in modo depistante per gli utenti a vecchi articoli del Dlgs 196/2003 che non sono ormai più validi da molto tempo perchè abrogati a seguito dell'introduzione del Regolamento UE 2016/679.
Se nella stessa informativa, cercando i riferimenti del Responsabile della Protezione dei Dati, si riesce a malapena a trovare un link che riconduce ad un formale "decreto di nomina" emanato dal sindaco in data 30 maggio 2018, (e quindi cinque giorni oltre la scadenza del 25 maggio 2018, termine entro cui tutte le pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto un responsabile, peggio ancora è la mancata pubblicazione dei dati di contatto del "data protection officer" a cui i cittadini dovrebbero potersi liberamente rivolgere per poter esercitare i loro diritti che sono loro riconosciuti dal Gdpr, come quello di opporsi alla illegittima pubblicazione delle loro generalità sul sito del Comune e chiedere l'immediata cancellazione o anonimizzazione dei loro dati identificativi.
Anche se i malcapitati che stanno subendo una immeritata mortificazione sul loro stato di indigenza non sono messi in condizione di vedere rispettati i loro diritti, starà comunque al Garante per la Privacy di verificare l'accaduto e valutare i provvedimenti da adottare a tutela dei cittadini.
Certo è, che altre volte casi analoghi non sono certo passati inosservati all'Autorità per la protezione dei dati personali. Ad esempio, nel 2018 il Garante era intervenuto per vietare al Comune di Messina l´ulteriore diffusione sul proprio sito web istituzionale delle graduatorie di persone invalide o in stato di disagio e che avevano usufruito di esenzioni o riduzioni della tassa sui rifiuti 2015. All'epoca, il Garante per la privacy aveva infatti accertato che due graduatorie, consultabili e scaricabili liberamente da alcuni link presenti sul sito del Comune, riportavano in chiaro dati e informazioni personali di 3447 persone, ordinati in base alla situazione e economica, che nella maggioranza dei casi indicavano il nome e cognome delle persone, la loro data di nascita, il codice fiscale, e il numero dei componenti del nucleo familiare. Perciò l'Autorità aveva ritenuto illecito il trattamento.
A prescindere dalle decisioni che assumerà questa volta il Garante per la Privacy, sta di fato che quello del Comune di Gragnano non è altro che l'ennesimo triste caso di pubbliche amministrazioni che dimostrano noncuranza e disprezzo per la normativa sui dati personali, e in questo difficile periodo di emergenza sanitaria ed economica, chi ci rimette sono pure gli individui più deboli.
Nicola Bernardi, Presidente di Federprivacy - Twitter: @Nicola_Bernardi