Lavoro

Separazioni e divorzi, la pratica collaborativa compie dieci anni

Aiadc, l’Associazione Italiana di Professionisti Collaborativi, presieduta dall'avvocato Francesca Araldi di Milano, compie dieci anni dalla sua costituzione

Aiadc, una delle principali associazioni europee di professionisti collaborativi - presieduta dall’avvocato Francesca Araldi - ha lavorato per formare una categoria di professionisti desiderosi di concepire il proprio lavoro in modo nuovo ed efficace, incentrato su un concetto di “obiettivo” che non confligge con l’altrui interesse, essendone, semmai, più complementare che contrapposto.

Separarsi nel nuovo millennio in maniera indolore è possibile con la Pratica Collaborativa, un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti, che si concreta in un’articolata negoziazione basata sugli interessi delle parti coinvolte e consente di raggiungere accordi realmente aderenti ai bisogni particolari di ogni famiglia o coppia. Questo ambizioso risultato viene conseguito mediante la (e garantito dalla) partecipazione di professionisti appartenenti a diverse categorie - avvocati, psicologi, esperti delle relazioni e commercialisti - il cui compito consiste nell’accompagnare le parti verso una soluzione stabile e duratura, dalle stesse scelta e non subita, quanto più conforme alle esigenze di ciascuno. Nata in U.S.A. nel 1990, da una idea dell’avvocato Stuart G. Webb, da un decennio viene utilizzata anche in Italia. Così scriveva il suo fondatore in una lettera indirizzata al Giudice Sandy Keith: “[...] è senz’altro capitato di trovarsi in situazioni in cui, spesso del tutto casualmente, mentre si tentava di raggiungere un accordo su questioni di diritto di famiglia, ci siamo ritrovati in riunione con il collega avversario, e magari con i suoi clienti, e si sono sviluppate dinamiche relazionali così positive da produrre alternative creative. In tale contesto, ciascuno ha dato il suo contributo per un accordo finale soddisfacente per tutti gli interessati [...]. Perché non creare questo clima deliberatamente? Propongo di fare ciò creando, nei casi in cui ciò sia possibile, un contesto per comporre le controversie familiari attraverso, prima di tutto, l’eliminazione di ogni considerazione delle categorie tipiche del giudizio contenzioso”. Proprio su questo cambio di prospettiva poggia il metodo collaborativo. In un’ottica simile, acquista importanza il fine ultimo cui esso tende, ossia il raggiungimento del miglior accordo possibile tra le parti, che può realizzarsi solo mediante un percorso nel quale ogni soggetto dovrà comprendere, abbandonando le posizioni pregresse, i propri reali interessi. Dietro una pretesa, infatti, si cela sempre un bisogno: scoprire tale timore o debolezza, ovvero disvelare una questione mai chiarita, sarà il primo passo per giungere alla piena consapevolezza di ciò che, razionalmente, vogliamo. Ma come avviene, in pratica, questo percorso? Le parti sono coadiuvate da due avvocati, uno per ciascuno, e spesso da un facilitatore della comunicazione e un esperto finanziario: si tratta di professionisti necessariamente formati alla pratica collaborativa (che, in questo senso, può considerarsi alla stregua di una vera e propria disciplina), i quali, invece di interfacciarsi in modo “avversariale”, formano una squadra al servizio dei clienti, il cui obiettivo comune è il conseguimento del miglior accordo possibile. La pratica collaborativa si apre con la sottoscrizione di un vero e proprio contratto, che ne contiene le regole essenziali e deve imprescindibilmente essere sottoscritto da ogni soggetto coinvolto (parti e professionisti): in virtù di ciò, sarà possibile condividere serenamente ogni informazione rilevante, poiché un eventuale e illecito utilizzo al di fuori del processo collaborativo farebbe sorgere, in capo al trasgressore, una responsabilità perseguibile in sede civile. Inoltre, il mandato dei professionisti collaborativi si esaurisce nella pratica stessa, poiché nessuno di costoro potrebbe intervenire a tutela di una parte, in caso mancato conseguimento dell’accordo finale; del resto, il team collaborativo condivide una formazione e un metodo ed è, dunque, ben consapevole della propria funzione. Attraverso un iter interdisciplinare, nel quale ciascuno, alla fine, avrà una visione quanto più esaustiva della situazione di fatto, potrà raggiungersi un’intesa tra i protagonisti della vicenda familiare, i quali definiranno i loro reciproci rapporti nel miglior modo per gli stessi possibile. Nel corso di un decennio, AIADC, una delle principali associazioni europee di professionisti collaborativi - presieduta attualmente dall’avvocato Francesca Araldi del foro di Milano - ha lavorato alacremente per formare una categoria di professionisti desiderosi di concepire il proprio lavoro in modo nuovo ed efficace, incentrato su un concetto di “obiettivo” che non confligge con l’altrui interesse, essendone, semmai, più complementare che contrapposto. Tanti sforzi hanno addirittura permesso che, per la prima volta dalla sua fondazione, un avvocato italiano, la meneghina Francesca King, presieda addirittura la International Academy of Collaborative Professionals (IACP) , che raccoglie tutti i professionisti collaborativi del globo.