Libri & Editori

“Cassandra a Mogadiscio” di Igiaba Scego: la recensione

di Chiara Giacobelli

Continuano le recensioni di Affaritaliani.it dei libri nella dozzina del Premio Strega 2023

Cassandra a Mogadiscio è un racconto intimo e personale della scrittrice Igiaba Scego, la quale, attraverso i ricordi di sua madre, ripercorre la storia della Somalia dal Novecento ad oggi. Il libro, edito da Bompiani, è rientrato nella dozzina del Premio Strega 2023. 

A proporlo alla giuria del Premio Strega 2023 – di cui, dopo un articolo riassuntivo iniziale, stiamo ora recensendo uno ad uno tutti i titoli rientrati nella dozzina – è stata niente meno che il Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, attualmente madrina di Genova Capitale Italiana del Libro. Questa la sua motivazione: “Questo libro ben equilibrato, anche dirompente, sicuramente il libro più importante che esista, nella letteratura italiana, sulla storia postcoloniale italo-somala, va letto per uscire dal silenzio, dall’oblio e dalla rimozione che distorce la verità di quell’epoca, e per far i conti con il razzismo non solo di una volta ma di oggi. Va letto per rendere contemporanea e sempre rilevante la lotta secolare di donne che hanno da dire ma sono condannate a non essere ascoltate. Sono le parole, dunque, di questa Cassandra testarda ma tenera, vincente e accogliente, vispa e ironica, che conquistano il lettore, e la sua potenza sta nel continuare a esprimersi senza rabbia, solo con convinzione e con lucidità. In questa Cassandra, crediamo”.

Utilizzando un linguaggio in prima persona, che restituisce al lettore molto della propria storia dall’infanzia alla maturità, l’autrice Igiaba Scego, nata a Roma da genitori somali, racconta non soltanto di sé stessa, ma anche e soprattutto della sua famiglia, ricorrendo ai ricordi e ai resoconti principalmente di sua madre. Ci spiega infatti la Scego che non esiste più un archivio storico della Somalia, in quanto andato distrutto nel corso della dura guerra degli anni Novanta; pertanto, chi oggi può costituire un documento vivente sono gli avi, coloro che vissero in prima persona sia quel periodo tragico sia i precedenti e hanno quindi il diritto, ma anche il dovere, di trasmetterlo affinché il passato di un’intera nazione non venga cancellato. La formula utilizzata è quella di una lettera scritta alla nipote, tuttavia – scrive la Scego nei ringraziamenti finali – in realtà questo è un messaggio rivolto alle nuove generazioni e, più in generale, a quanti abbiano il desiderio di scoprire, di conoscere, di apprendere la storia della Somalia dal punto di vista dei cittadini. Molti i salti temporali dal presente al passato più o meno lontano, tornando indietro fino al primo colonialismo, quello che vide gli inglesi invadere la Somalia. Poi fu il turno degli italiani sotto il Fascismo e, a seguito della seconda guerra mondiale, si impose una dittatura che, tra le tante vittime, condannò all’esilio anche la famiglia dell’autrice.

Dozzina Premio Strega 2023
 

La guerra che però più di ogni altra è presente in questo libro, ricco di suggestioni personali, interpretazioni, opinioni, riflessioni e conclusioni soggettive più che di fatti oggettivi – adottando volutamente lo stile di “un’autobiografia in divenire” –, è però quella civile scoppiata nel 1991: in quell’occasione la Scego perse di vista per ben due anni, senza apparente spiegazione, la sua adorata madre, la quale scelse di tornare nel Paese di origine per prendere parte al conflitto in maniera diretta e appoggiare il proprio clan. Fu una decisione drastica che a lungo venne taciuta in famiglia, dal momento che l’autrice ha trovato solo recentemente il coraggio di chiedere a sua madre le ragioni di quella scomparsa dolorosa: le sue rispose non l'hanno convinta e si è ritrovata a non approvarne le scelte, ma nonostante tutto si è sforzata di sospendere il giudizio e di cercare di comprenderla. Erano per lei gli anni dell’adolescenza e il malessere, nonché la paura, legato alla mancanza improvvisa e misteriosa della donna provocò nella figlia un disturbo alimentare bulimico che la accompagnò poi a lungo, superato solo grazie all’aiuto di terapeuti e al potere curativo della scrittura. È per questo che, sempre nel finale del libro, la Scego suggerisce proprio la parola “cura” come elemento chiave dell’intera narrazione, poiché è attraverso il linguaggio – l’italiano, appreso nel Paese che l’ha accolta, e il somalo, imparato a poco a poco nel corso della vita – che le è possibile ripercorrere la propria storia, definirsi e dare un significato a tutto quanto è accaduto, sia a livello familiare che geopolitico.

Cassandra a Mogadiscio
 

L’autrice si sofferma molto su tematiche ancora attuali – sebbene si raccontino episodi risalenti a decenni fa – come il razzismo, la presunta superiorità dei bianchi sui neri, lo sfruttamento dell’Africa da parte delle potenze occidentali, il femminismo e la violenza sulle donne, la conflittualità e la guerra che non vede mai nessun vincitore, sia essa una guerra tra popoli o tra clan. Sottolinea più volte l’influenza negativa e drammatica che il colonialismo ebbe sull’intera storia della Somalia: dalla dittatura agli scontri tra civili, dalla diaspora di intere generazioni alla natura “ibrida” di chi non si sente realmente parte di nessun Paese, fino alla distruzione totale della città di Mogadiscio, che oggi, ricostruita, appare estranea a chi la conosceva e amava come era un tempo. Dunque la perdita di qualcosa che non tornerà più e che genera costantemente un senso di nostalgia misto a dolore. Questo malessere interiore che caratterizza i somali nel libro viene definito jirro: linguisticamente in senso stretto significa malattia, ma in realtà contiene al suo interno decenni di soprusi, di guerre, di violenza, di traumi subìti e mai del tutto metabolizzati, talvolta persino capaci di tramandarsi di padre in figlio. Un concetto complesso, e per noi del tutto nuovo, sui cui l’autrice spende accalorate parole.

È quindi un libro che va preso come una testimonianza diretta, fortemente influenzata dal vissuto e dalle personali conclusioni a cui è arrivata l’autrice, non prive talvolta di senso di ingiustizia e della ricaduta nella contrapposizione del noi/loro, i neri/i bianchi, i buoni/i cattivi, le vittime/i carnefici. Presuppone pertanto una minima conoscenza della storia del Paese, per avere un’idea più ampia delle questioni che qui vengono trattate; non si pensi di trarne informazioni sufficienti per ricostruire il passato della Somalia e i rapporti dell’Occidente con essa, poiché, come è chiaro sin dalle prime righe, non è questo l’intento dell’autrice. Consiglierei perciò di partire con una base solida e di conoscenze al riguardo prima di affrontare questa lettura, di certo utile ma non imparziale né completa.