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"Dubai, l’ultima utopia" di Emanuele Felice
La nuova Utopia auspicata da Thomas More?
Incuriosisce il saggio di Emanuele Felice su Dubai, metropoli simbolo del lusso, della tecnologia, del capitalismo mondiale. È La città più felice del mondo, così si legge altisonante all’ingresso dell’aeroporto, la questione risiede nel comprendere in cosa consista la “felicità” e se realmente l’intera popolazione sia felice, ma soprattutto a quale prezzo.
È noto che la felicità sia considerata una virtù dalle scuole filosofiche dell’antichità classica, da Aristotele sino ai contemporanei, per i quali risulta molto difficile raggiungerla in quanto significherebbe privazione o assenza di beni materiali. Ecco il paradosso: come può un cittadino degli Emirati arabi rinunciare al benessere materiale? O meglio un cittadino globale? Viene perciò a vacillare tale sistema filosofico. Avvicinandoci ai nostri giorni Frédéric Lenoir, Salvatore Natoli, nello specifico, hanno affrontato tale problematica compiendo con i loro saggi sulla “teoria degli affetti” un viaggio filosofico della “felicità” tra cultura occidentale e orientale; pertanto, forse, per essere felici occorrerebbe avere consapevolezza di sé e dei propri limiti. Sarà effettivamente accaduto questo tra la popolazione di Dubai?
La lettura del saggio solleva non pochi dubbi! Avvantaggiati da una scrittura in forma di “prosa”, una narrazione semplice e accattivante, alla portata di tutti, Emanuele Felice (docente di Politica economica-Università di Pescara) in Dubai, l’ultima utopia pubblicato per i tipi de “il Mulino”, compie una disamina sulla storia della città sollecitando il lettore attento, lo studioso a suscitare questioni geopolitiche, ma soprattutto economiche. Ogni pagina sorprende e sembra come se il viaggiatore non fosse solo il protagonista, l’Autore, ma chiunque si accosti al libro: “Dubai è la metropoli in cui il capitalismo vola al galoppo più che in ogni altro posto del mondo … e promette felicità per tutti. È la metropoli che fa a meno dei diritti umani” (p. 23): cortocircuito, qualcosa sfugge, come può una città ricca far a meno dei diritti dell’uomo?
Ricchezza e umanità non percorrono lo stesso binario. È sorprendente che ai cittadini non importi apparentemente granché, in quanto sono felici. La “metropoli”, simbolo dell’alienazione sociale, della spersonalizzazione, luogo di divisione sociale e del lavoro, assurge al paese dell’Eldorado, all’isola più felice del mondo. Agli inizi del Novecento, infatti, Dubai e altre città degli Emirati arabi erano conosciute per la loro produzione di perle, che costituivano la quasi totalità delle esportazioni nei paesi occidentali: perle che venivano raccolte nelle profondità del Golfo Persico dagli schiavi provenienti dall’Africa orientale oppure dagli abitanti degli Emirati. Non si trattava certo di un piacevole tuffo nel mar dei Caraibi. In seguito, si giunse, grazie a un imprenditore giapponese, a coltivare le perle; successivamente si è passati all’estrazione del petrolio, come nuova fonte di reddito. Si son costruiti, prosegue l’Autore di “Dubai, l’ultima utopia”, grattacieli nel deserto, immensi centri commerciali, porti, scali aerei. Dubai è diventata grazie ad alcuni sceicchi degli Emirati anche “la capitale mondiale del turismo”. Crescita esponenziale di una megalopoli dove il turista viene accolto da incantevoli giochi di luce, di fontane, di tutto ciò di cui ha bisogno. Una magnificenza che disorienta anche il più equilibrato che può essere soggetto a vertigini. Vertigo. Imago.
E dunque, “L’utopia della città più felice sulla Terra poggia su impressionanti capacità politiche ed economiche, radicate nel vissuto di questi sceicchi e in grado di dare forma a un capitalismo autoritario talmente efficace da mettere in discussione i valori storici dell’Occidente”, - non che in Occidente fossero proprio ben radicati e rispettati -, “l’idea «progressista» che la crescita e i diritti umani vadano insieme. Tutti dobbiamo fare i conti con questa sfida lanciata da un’utopia nel deserto” (pp. 78-79). Ma, dall’utopia alla distopia, e di conseguenza, a divenire anche un “paradiso fiscale”, secondo l’analisi economico-politica di Felice, il passo è stato brevis, brevissimus, comportando negli ultimi anni un cambiamento mondiale atto a sparigliare le cartografie politiche del globo. Un’economia, sino a oggi, attrattiva quella di Dubai che non si fonda solo sull’“oro nero”.
Ma se il capitalismo sfrenato desta preoccupazione, non è da meno la democrazia occidentale, sul cui stato il politologo David Runciman appare di gran lunga allarmante: una democrazia che può ingenerare populismi ed è indice anche di una crescente diseguaglianza. Oramai vecchia – in “Così finisce la democrazia” – si chiede se questa forma di governo surclassata da una tecnologia digitale, da retorica politica, da perbenismi, ipocrisie, possa ancora salvaguardare non solo i diritti umani e i diritti fondamentali, ma sia in grado di provvedere in egual misura al riconoscimento di ogni cittadino e a rendergli una vita dignitosa. E allora, qual è la differenza tra Dubai, l’Oriente e Filadelfia, citata dall’Autore come emblema dell’Occidente?
Incalza, infine, Emanuele Felice con alcuni degli interrogativi disseminati nel saggio: “Le democrazie sono meglio delle autocrazie anche in quanto a crescita economica? Anche per quel che riguarda la promessa di benessere materiale? Non è un caso che Pasolini parli di “omologazione all’interno di istituzioni democratiche” e Marcuse persino di “totalitarismo democratico”. In definitiva, la felicità sembra essersi smarrita per le strade impervie delle metropoli e di “Utopia”? Occorrerebbe chiederlo agli ultimi strati epidermici di una pelle e di un corpo che si chiama: società. Tempus fugit.
Tuttavia, Dubai, l’ultima utopia ci invita a non inseguire troppo il tempo per non rischiare di farci accecare dai falsi miti. In realtà, dovrebbe esser chiaro che non sono soltanto le forme di governo, il capitalismo, il populismo, ecc., ma è il potere economico e politico che trasforma gli uomini in dei, immortali pervasi dal mercificio del tutto, dallo strabordare di uno spirito oggettivo in una conflittualità dell’Io che si placherebbe solo consumando. Emanuele Felice, perciò, con sagacia e competenza offre al lettore un’affascinante narrazione che fa comprendere criticamente una delle più stridenti contraddizioni della nostra contemporaneità. Dubai. Bon voyage! Dubai. Goodbye!