Libri & Editori
Estate 2023: ecco i cinque libri da leggere sotto l’ombrellone
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2) L’età del male di Deepti Kapoor (Einaudi)
Totale cambio di ambientazione e di genere per soffermarci davanti a una copertina nera con una tigre d’oro. È arrivato in libreria a giugno, ed è quindi fresco di stampa grazie a Einaudi, L’età del male. La saga criminale dei Wadia, un romanzo dalle tinte forti, crudo e a tratti spietato, completamente diverso sia nello stile che nei contenuti dalla saga della Riley. Pensiamo infatti che i lettori siano più che mai vari, con gusti molto diversi tra loro, ed è per questo che ci piace consigliare opere accomunate dalla qualità elevata, spaziando però tra generi, tematiche e forme narrative differenti. In questo caso si tratta del primo libro di una trilogia ancora tutta da pubblicare, pertanto non vi sono controindicazioni nell’acquistarlo senza aver letto altro dell’autrice; per incuriosirvi un po’, basti pensare che L’età del male è già stato venduto il 35 Paesi in seguito a una delle più contese aste di sempre e – come era facile immaginare – anch’esso diventerà presto una serie tv. Meglio quindi portarsi avanti nella lettura.
La famiglia Wadia è tutto il contrario delle sorelle figlie di Pa’ Salt: vizio, crimine, lusso, sesso, l’eccesso come stile di vita. Sono loro a dettare le regole in una Delhi caotica e colorata, piena di contrasti portati all’estremo: dai bassifondi alla vetta c’è un mondo intero, due realtà agli antipodi, eppure intrinsecamente legate le une alle altre, in quanto per arrivare alla seconda occorre passare dalla prima. I trasporti, le miniere, gli zuccherifici e poi la speculazione edilizia sono le armi dei Wadia, che senza alcuno scrupolo scalano fama, successo, denaro, potere, credendosi invincibili; almeno fino a quando una giornalista coraggiosa non irromperà nella vita di Sunny, il rampollo della famiglia e prossimo erede dell’impero, mettendo a rischio la stabilità della sua cerchia ristretta.
Quello della Kapoor, definito da The Guardian “la risposta indiana a Il padrino”, è un libro che non si allontana troppo dalla realtà, restando ancorato ai meccanismi perversi e malati di un Paese, l’India, pieno di contraddizioni. Le oltre seicento pagine ricche di dialoghi, momenti di suspense, ritmo e adrenalina scorrono via in un lampo, portando il lettore a confrontarsi con scene di droga, sesso, violenza e non poca immoralità; tutto assolutamente verosimile. Ecco allora che un’opera del genere diventa anche uno strumento politico per denunciare una situazione esistente e aprire uno squarcio su una realtà che tutti conoscono, ma nessuno vuole raccontare, o talvolta anche solo vedere. Un romanzo drammatico, quindi, ma lo si potrebbe inserire anche all’interno del noir, del giallo o del thriller: questo e molto altro per tracciare il ritratto dell’India moderna, tra mafia e povertà, vittime e carnefici, tradizione e capitalismo sfrenato; un mix di forze che si scontrano le une contro le altre, come sempre accade quando un Paese è costretto a cambiare la propria natura millenaria troppo in fretta, accecato dagli sfarzi dell’Occidente.
L’autrice ha rivelato che la storia affonda le origini nella sua giovinezza, quando da trentenne, prima di sposarsi e di insegnare yoga, aveva lei stessa perso il proprio centro. Tuttavia, non si tratta di un’opera biografica, quanto piuttosto di un affresco dei nostri tempi: “Non potevo semplicemente essere un’artista solipsistica e chiusa nella mia scrittura. Dovevo trovare il modo di integrare la mia vita in quella politica/sociale/economica del Paese, con una visione più ampia”. Quanto ai Wadia, ha raccontato di essersi ispirata a personaggi e famiglie reali, senza fare nomi e cognomi. “Queste sono le persone responsabili di tutto il dolore che vedete. Sono coloro che siedono sulla cima”. Non è dunque un memoir né un libro d’inchiesta, ma neppure un'opera totalmente di fantasia: la sua forza sta proprio nella capacità di dare forma e visibilità a un mondo già esistente, sebbene celato dietro al luccichio dell’oro. Essere riuscita a farlo emergere utilizzando uno stile avvincente, mai banale, frenetico e crudo, dal ritmo incalzante, è un plus oltre che un talento, poiché le ha permesso di rendere fruibile alla grande massa un libro altrimenti destinato a lettori di nicchia. Tuttavia, non è a loro che Deepti voleva svelare gli orrori quotidiani del Paese in cui ha lavorato a lungo come giornalista, bensì al mondo intero. E ci è riuscita benissimo.
Lo consigliamo perché: è un romanzo che scorrerà veloce e intrigante nelle giornate di pausa o nei momenti sotto l’ombrellone, ma non va confuso con il semplice intrattenimento. Dalla sua lettura si uscirà arricchiti (o forse bisognerebbe dire impoveriti), scossi e di certo più consapevoli. Da leggere.