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Filo spinato, la poesia di Alessandro Fo fatta di incontri e vita

di Alessandra Peluso

Il mistero si cela dietro una parola, un verso, che talvolta non basta una vita per scioglierlo, alle volte invece si appalesa nell’immediatezza come ha voluto dimostrare Alessandro Fo con “Filo spinato”, edito da Einaudi. La dualità del significato si svela nella copertina e nel dramma si rivela la felicità della salvezza perché “Senza quel filo spinato, a cui noi siamo appesi, / niente Bianca, né Dario, né Fulvio, né noi nipoti, né il premio Nobel / (né questa nebbia di ricordi in versi)”.

Da qui comincia il viaggio intriso di originalità che caratterizza la personalità di Alessandro Fo, che come viator attraversa il suo tempo, oscillando con la pagina tra la vita e la morte, fra il buio e la luce, la speranza e il dolore. D’altronde, “vita e morte fanno parte di un medesimo gradino”.

La  Stimmung nella silloge “Filo spinato” è perciò varia, ma non avariata, perché la memoria non scade mai, perché senza il ricordo l’umano sarebbe solo un filo spezzato senza storia e Fo lo dimostra in ogni poesia. Decanta la vita e inganna il tempo tra il “muto carcere” e “dei sepolcri”: nell’interazione la contraddizione che affascina, spaventa, entusiasma e nello stupore di chi scrive il ricordo di un episodio tragico, sì, ma ciò che è interessante sottolineare qui che l’Autore né è consapevole e volutamente riprende ciò che è stato e lo fa rivivere al lettore in ogni sua sfumatura. I versi non sono espianti o trapianti di altro, ma costituiscono quella natura, quella cornice che crea un quadro d’autore e qui et nunc fa rivivere, risuonare i versi come le sinfonie di Chopin.

In compagnia di angeli e arcangeli il lettore si troverà con il “Filo spinato”: nella casa in cui Fo ha vissuto, nei primi amori, nell’attuale condizione di morte per via di un dramma sanitario che si è costretti a vivere, a subire, che tuttavia questo aspetto di condivisione potrebbe condurre ad addolcire un “duro isolamento”. Ma la poesia non è miele. Talvolta è una spezia acre come peperoncino, enfatizza i dolori e acuisce la realtà perché sia visibile a tutti.

Leggere “Filo spinato” di Alessandro Fo è come trovarsi nell’esperienza delle “Confessioni” di Sant’Agostino o nelle “Confessioni” di Rousseau. È un’autobiografia ovvero è filosofia, à la Nietzsche. Si assiste a una netta descrizione di soggettività che vivono le loro esistenze e “abbracciano la ricchezza del reale”.