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Giornalismo, che cosa succede? Ecco la nuova informazione digitale

Di Gaetano Farina
La rivoluzione digitale e di Internet sta ridefinendo le teorie, le procedure e le pratiche del mondo dell’informazione giornalistica. Un settore - lo dimostrano gli effetti destabilizzanti dell’adozione di forme comunicative come Twitter - che pare in continua evoluzione, direttamente influenzato dalle innovazioni comunicative della tecnologia connettiva. Viviamo ormai in un “big brother”, molto simile a quello profetizzato da George Orwell, con occhi e orecchie sparsi dovunque; l’informazione è a portata di mano nel momento stesso in cui un evento diviene notizia. E, soprattutto, la moltiplicazione e la nuova accessibilità dei canali comunicativi, la disponibilità massiva delle tecnologie digitali, la velocità della rete e l’utilizzo diffuso dei social network travolgono e accantonano definitivamente la classica logica verticale dell’informazione giornalistica.
Il fare informazione non è più competenza esclusiva di una classe di professionisti, ma coinvolge potenzialmente l’intera cittadinanza. La diffusione capillare delle Rete, dei social network e delle diverse “piattaforme partecipative” rende sempre più evidente che mai come nel presente contesto storico l’informazione è diventata un vero e proprio bene comune. Oggi il cittadino ha la possibilità di interagire, dialogare e collaborare con il giornalista professionista, ma anche di criticare il suo lavoro. Ancor di più, qualsiasi cittadino “connesso” è potenzialmente una fonte di informazioni, è potenzialmente un giornalista che può battere sul tempo chi per mestiere cerca e racconta notizie: una semplice foto scattata col proprio telefonino può diventare notizia.
Come sintetizza nel suo saggio l’ex direttore de Le Monde diplomatique Ignacio Ramonet “L’explosion du journalisme”, si sta passando, quindi, “dai media di massa ad una massa di media”. Con grandi opportunità, ma anche con altrettanti rischi per la circolazione globale dell’informazione. Numerosi studiosi e commentatori in tutto il mondo ne hanno analizzato il rovescio della medaglia: la moltiplicazione esponenziale di distorsioni e spazzatura multimediale (sia rispetto ai criteri di ricerca della verità che a quelli di utilità), sovrabbondanza di informazione che nasconde e soffoca le notizie più importanti, primato della quantità (di click, followers e “mi piace”) e dell’audience sulla qualità dei contenuti a ulteriore vantaggio del sensazionalismo e del gossip, frenesia del web che allontana dalle forme di pensiero esigenti riflessione e concentrazione, precarizzazione della professione giornalistica, dimagrimento delle redazioni e rinuncia all’informazione di approfondimento, consolidamento della supremazia dell’esigenza di velocità su quella di approfondimento.
E’ innegabile, in ogni caso, la portata rivoluzionaria di Internet e delle tecnologie digitali (specie quelle del web 2.0), sulle modalità di creare e far circolare informazione.
Michele Mezza, giornalista Rai e docente di “culture digitali” all’Università Federico II di Napoli, ideatore di RaiNews24, è uno di quelli che evidenzia le potenzialità positive del nuovo scenario, pur consapevole dei connessi rischi e problemi di cui abbiamo accennato. Sebbene qualsiasi cittadino possa indossare temporaneamente i panni del giornalista, Michele Mezza è convinto che mai come in quest’epoca c’è stato bisogno di un giornalismo e di giornalisti di professione di elevatissima qualità proprio per rispondere all’esigenza di ordinare, sintetizzare, filtrare la moltitudine di dati, informazioni, immagini, stimoli che travolge quotidianamente ogni lettore, navigante o telespettatore.
E’ questa una sintesi delle riflessioni pubblicate sul sito giornalisminellarete.donzelli.it, una sorta di pensatoio-laboratorio da cui è tratta la pubblicazione “Giornalismi nella Rete”, edita da Donzelli, che, con l’introduzione e l’intermediazione di Giulio Anselmi - direttore dell’Ansa -, si propone come manuale multimediale del redattore interattivo. Grazie al confronto e alla collaborazione con decine di operatori dell’informazione e giovani studenti di Comunicazione, Michele Mezza si cimenta nel racconto dell’innovazione, dell’epoca dominata dalla sesta “W”, quella del “while”, del mentre dell’avvenimento, dove la notizia è contemporanea e non più successiva al fatto, utilizzando il linguaggio dell’innovazione attraverso numerosi filmati, link, riferimenti, testimonianze visibili sulla carta con i QR code.
Il ragionamento procede mostrando le esperienze concrete di grandi giornali, come la ristruttrazione del Washington Post o la digitalizzazione del Guardian, e confrontandole con le strategie di alcuni dei più prestigiosi testimoni della professione come Claudio Giua, Roberto Napoletano, Francesco Piccinini di FanPage e, appunto, Giulio Anselmi.
In 260 pagine ci si fa tante domande a cui si prova a dare delle risposte, seppur non definitive. Quanto servono ancora i giornali? Cosa si deve intendere per “redazione” oggi? Che tipo di matrimonio si sta consumando fra redattore e lettore? Quanto saranno “automatizzate” le notizie? Quante e quali competenze tecnologiche deve possedere il giornalista moderno? Si sta installando una “dittatura dell’algoritmo”? Quali sono gli strumenti di verifica dell’attendibilità e della trasparenza? E di che tipo? Quanto si dipenderà da Facebook e Google? Il testo sarà battuto dalle immagini? Il futuro dell’informazione sarà in cielo, grazie all’utilizzo dei droni? Quanto vale la “democrazia” dei like? Quali fonti di sopravvivenza economica per l’editoria giornalistica? Quali i nuovi modelli di business? Quanto è “avanti” o “indietro” l’Italia rispetto agli altri Paesi? Come si deve studiare il giornalismo? Alla fine, la spunterà un nuovo giornalismo di qualità o il giornalismo d’approfondimento è destinato a essere schiacciato?
Il quadro finale - come già anticipato- è quello di un mestiere che, invece di raggrinzirsi, dilata le sue potenzialità fuori dai perimetri redazionali tradizionali, permeando gli aspetti più diversi dell’attività civile, amministrativa, culturale.
Commovente la dedica introduttiva a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, “assassinati da un cinico gioco d’interessi del libero e civile Occidente, per ricordare che il giornalismo è sempre big data, spesso coraggio, alcune volte anche eroismo”.