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In libreria il secondo volume delle Lettere di Samuel Beckett
Edita da Adelphi, la seconda parte dell’epistolario di Samuel Beckett è un’opera straordinaria a firma di uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo
La presente raccolta in quattro volumi è un’opera grandiosa, pubblicata in Italia da Adelphi, che ha richiesto un lavoro ventennale di ricerca, catalogazione, cernita e traduzione di un corpo epistolare smisurato. Sono state reperite più di 15.000 lettere di Samuel Beckett (1906-1989) – la cui pessima grafia è divenuta proverbiale – scritte in lingue diverse, su ogni tipo di supporto cartaceo, scovate in collezioni private, in università, tra amici o familiari, e anche in qualche sottoscala.
Questo immenso lavoro seleziona circa 2500 Lettere, indirizzate all’intera gamma di destinatari di Beckett, inerenti l’ambito professionale (come espressamente richiesto dall’autore), ma trapelano anche tanti aspetti umani e artistici dello scrittore fino ad ora ignoti e difficili da immaginare. Perché è proprio nelle lettere che Beckett a volte si lascia andare e riesce ad esprimere in parole la sua interiorità: questa raccolta permette allora di seguire lentamente, quasi in punta di piedi (un passo dietro l’autore), l’incredibile percorso umano di un grandissimo artista.
Il primo volume, uscito in libreria nel 2017 per Adelphi, raccoglie le lettere del periodo 1929-1940: sono gli anni di formazione, delle prime opere (saggi, poesie, racconti) e del trauma causato dalla morte del padre.
Beckett viaggia molto in Europa per visitare musei e collezioni d’arte, spesso con insoddisfazione, ma a volte anche con enorme entusiasmo: a Londra si sottopone a lunghe sedute di psicoanalisi, a Parigi lavora con James Joyce, la cui amicizia e influenza saranno determinanti nella vita del giovane scrittore; soprattutto, si concretizza in questo periodo il rifiuto di una facile e comoda vita da docente al Trinity College in Irlanda. Proprio con la sua patria Beckett ha un rapporto doloroso: “A volte mi viene voglia di lasciarmi risucchiare da questo delizioso pantano, di stendermi e basta, e mollare tutto e non fare più niente. È una tentazione che ho sempre avuto qui (...). Il vecchio motto irlandese “Morire in Irlanda”. È un posto pericoloso dove tornare per qualsiasi altro scopo”.
Si scopre un Beckett appassionato di pittura e concertistica, impegnato in discussioni estetiche o intellettuali; è un lettore vorace e onnivoro che ammira Dante e Leopardi, che studia Johnson, Kant, Schopenhauer, Geulincx. Di questi anni è bene ricordare Murphy (respinto, sembra, da 42 editori), romanzo “dall’incessante buonumore negativo”, come afferma il critico Harold Bloom. L’esuberanza del linguaggio è fortemente influenzata da Joyce, ma già s’inizia ad intravedere il Beckett che verrà.