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Spiritualità per atei. Cosa resta quando si rinuncia alla fede

Di Alessandra Peluso

A partire dalla rivoluzione industriale e con l'avvento della tecnologia, anche la religione e a sostegno la fede sono venute meno, soprattutto in individui, famiglie, società che hanno goduto del benessere materiale. Ma, cosa ha prodotto nel corso degli anni questa situazione, alla quale gran parte degli individui assistono senza avere punti di riferimento, alle volte orientati al caos. 
Ecco che, c'è chi, come il filosofo francesce Andrè Comte-Sponville, propone una soluzione nel libro “Spiritualità per atei. Cosa resta quando si rinuncia alla fede”. Qui, egli non assume affatto una posizione nichilista; anzi, tutt'altro, con riflessioni argute, dimostra quanto sia importante piuttosto che credere in qualcuno, avere la coscienza della propria spiritualità. Uno spirito forte, dunque, che si fonda sulla meditazione, sulla conoscenza, sull'amore e sull'azione.    
Si tratta di pagine dense di momenti di silenzio da parte del lettore per poter elaborare e farne di questo breve ma prezioso saggio, una possibilità di vivere la propria vita.

Andrè Comte-Sponville è uno dei portavoce più qualificati e originali di questa rivoluzione silenziosa, di un modo alternativo per rifuggire da una dipendenza e creare in sé un punto di riferimento. A tal proposito, si legge nell'introduzione di Paolo Costa: «... una possibile via d'uscita dalla condizione di scacco allo stesso tempo psicologico, politico, culturale a cui il trionfo del progetto moderno sembra aver condannato molti individui che hanno tagliato definitivamente i ponti con le credenze religiose tradizionali» (p. 15).
Sponville definisce la spiritualità come la vita dello spirito ed è affascinante leggerlo nei vari passi nei quali fornisce con una terminologia chiara e adeguata, quasi a pensare al metodo cartesiano e alle sue quattro regole: evidenza, analisi, sintesi, enumerazione e revisione ovvero alla verifica dell'affermazione.

E dunque, il libro si può considerare appunto una verifica esperienzale della vita stessa dell'autore.
Pertanto, si legge chiaramente e si assiste ad una vera e propria via alla ricerca della “spiritualità per atei”, aggiungerei, non solo, anche per laici e per coloro che anziché ricercare la felicità altrove, la cerchino all'interno di sé, dove si può trovare tutto, persino Dio.
Singolare è inoltre, osservare come il senso dell'umanità, del rispetto, la presenza di valori non necessariamente si trovano in un individuo religioso, ecco che si legge: «Il valore di un essere umano non risiede nel fatto che creda o non creda in Dio, ma nella quantità d'amore, di giustizia e d coraggio di cui è capace» (p. 31). Se ognuno di noi considerasse ciò vero, eviterebbe molti conflitti e forse non esisterebbero nemmeno suicidi o omicidi  propinati dalla tv.

È evidente che il più delle volte si è soliti correre dietro a qualcosa che ci manca: un po' più di potere, un po' più di denaro, un po' più di considerazione; mentre, un ricongiungimento con il proprio sé potrebbe donare un senso di pienezza, così come la gratuità dell'amore.
“Perdere la fede o rinunciare ad essa, non cancella il valore irrinunciabile della fedeltà, dell'affidarsi in libertà, del rimanere tenacemente legati”, conclude nella postfazione il teologo Davide Zordan, riprendendo il pensiero di Andrè Comte-Sponville. E avvalorando ciò, Zordan conclude il testo “Spiritualità per atei. Cosa resta quando si rinuncia alla fede” con una considerazione di ampio margine di respiro, contemplativo, sulla fenomenologia dell'esperienza e della libertà, perché la teologia non possiede solo risposte preconfezionate, e forse proprio per questo, ciò che ha da dire può riguardare tutti, compresi gli atei fedeli (p. 66).

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