Libri & Editori
Storia di un figlio, un libro atteso da 10 anni: intervista ad Akbari e Geda
Nel mare ci sono i coccodrilli ci aveva raccontato la fuga di Enaiat dall’Afghanistan: nel nuovo libro scopriamo cosa gli è successo dopo l’arrivo in Italia
Dieci anni fa leggevamo per la prima volta le vicende di Enaiat, in un libro che fu un best seller anche fuori dall’Italia, Nel mare ci sono i coccodrilli. Ora, per lo stesso editore, Baldini+Castoldi, è in libreria il racconto di quello che successe dopo, scritto stavolta esplicitamente a quattro mani, dal protagonista, Enaiatollah Akbari, e Fabio Geda.
Scopriamo come sono stati i primi anni in Italia di quel bambino scampato ai pericoli di un viaggio che l’aveva portato per anni a “lavorare” e rischiare la vita tra Pakistan, Iran e Turchia, cosa succede a “chi ce l’ha fatta”, quali sono i suoi desideri, come passa le giornate e quali obiettivi si pone nella vita.
Io ne venni a conoscenza durante il primo anno di università, grazie alla mia professoressa di Antropologia culturale, e mi aiutò, per la prima volta, a umanizzare il fenomeno dell’immigrazione: non solo numeri, notizie alla tv, argomenti di propaganda politica, ma persone, con nome e cognome, una famiglia, delle relazioni, ricordi, cose da raccontare. Credo sia questo uno dei meriti di entrambi i libri: farci vedere quanto di noi c’è in Enaiat, e quanto di Enaiat c’è in ogni migrante. E vice versa.
Un libro che diverte, come quando si parla della tinca gobba del pianalto di Poirino, che commuove, nel leggere di una madre che, dopo otto anni senza notizie del figlio, la prima cosa che gli chiede è se mangiasse abbastanza, come ogni madre del mondo. E che fa anche piangere, parecchio. Perché ogni migrazione porta con sé sofferenza, anche quelle “finite bene”, anche quella di “chi ce l’ha fatta”, perché ogni migrazione è sempre la storia di un distacco, di una lontananza, di mancanze e nostalgie, di solitudini e paure. Un libro che parla a tutti e arriva a tutti, perché scritto in modo chiaro, semplice, diretto. Un racconto che non indugia nei particolari delle difficoltà, ma che le fa percepire comunque chiaramente, che siano burocratiche, linguistiche o sentimentali.
Nel libro Enaiat lo dice, che a volte rimuovere un ricordo doloroso aiuta a non soffrire, ma oggigiorno siamo così iperconnessi, ognuno ha almeno una “chat di famiglia” nel proprio cellulare con cui restare in contatto con genitori e fratelli anche solo tramite un messaggio, una foto, un meme estemporaneo, che non si può fare a meno di chiedersi come lui sia riuscito a rimanere otto lunghi anni senza contatti con la propria famiglia.
“Viviamo in due continenti diversi, due società e idee di progresso differenti,” risponde Enaiat “lì fino a poco tempo fa non c’erano proprio i cellulari, come tutt’ora manca la corrente elettrica o l’acqua in molte case. Io conosco entrambi i mondi e so che conviverci non è impossibile ma è ovvio che questo aspetto mi abbia fatto soffrire tantissimo. Quando il mio compagno di classe, finito l’esame, sentiva subito la sua famiglia per dire se fosse andato bene o male, io non lo potevo fare. In quelle occasioni la mancanza era fortissima, soffrivo molto di non poter condividere con nessuno né i momenti di tristezza né quelli di felicità. Mi feriva il cuore e l’anima, ma non potevo fare altrimenti che vivere quella vita.”
Nel tuo racconto hai specificato di non aver mai raccontato a tua madre le disavventure che ti sono capitate, per non farla soffrire. Il resto della tua famiglia, invece, ha letto il tuo libro?
“Ho raccontato qualcosa a voce, conoscono una piccola parte di quello che è riportato nel libro. Ma, per esempio, mia sorella non sa leggere né scrivere, né può comprendere appieno questo mondo in cui vivo ora, le sue emozioni e valori. Sa che ho scritto il libro, le ho raccontato qualcosa, ma non i dettagli. Quando ci sentiamo parliamo più del quotidiano, del presente o del futuro. Difficilmente parliamo del passato, ma non per scelta, viene così spontaneamente. Forse perché fa male a entrambi, toglie troppe energie, e probabilmente ora la nostra anima è più impegnata a essere felice perché siamo salvi.”
Anche lei ha affrontato molte difficoltà…
“Anche lei nel tragitto della vita ha fatto diversi spostamenti, anche lei è stata una migrante e in questo ci comprendiamo benissimo. Sappiamo entrambi cosa significa migrazione, viaggiare di nascosto, soffrire e non avere da mangiare o da bere durante il viaggio. Questo ci accomuna molto, non solo avere gli stessi genitori. Anche se non scappava da un continente all’altro come me, le nostre esperienze sono state simili: a me sparava il poliziotto iraniano mentre lei aveva il terrore di essere colpita dai talebani.
Tornando al tuo libro, riesci a promuoverlo nonostante il lavoro e le restrizioni da Covid, o è un’attività che deleghi più a Fabio?
“In questo sono molto presente, ed è una scelta, perché non voglio essere solo un personaggio tra pagine di carta. Per me il libro è un’opportunità di far conoscere di più l’Afghanistan e la sua situazione politica, il mio popolo, la mia etnia al resto del mondo, al pubblico, grande o piccolo che sia: per me è comunque molto importante parlarne. Tenendo in considerazione le restrizioni, cerco di andare dove posso: al Festival internazionale di Ferrara, o al Festival di Mantova, ma anche nelle piccole librerie: dove c’è possibilità, vado volentieri.”
Come sta andando la tua attività di supporto ai rifugiati in Italia di cui parli nel libro?
“In questo momento mi sto concentrando di più sul mio lavoro e sull’aiutare mia moglie Fazila nel suo percorso di integrazione, e continuo a supportare la mia comunità più stretta, però in futuro mi piacerebbe dare un contributo maggiore anche a un livello più ampio. Per esempio ora c’è molto da discutere sulla cittadinanza, una causa che mi sta a cuore perché la mia situazione rispecchia quella di tantissimi altri ragazzi che vivono in Italia e hanno fatto un percorso di studio e di crescita ‒ non di integrazione perché magari sono nati qui da genitori immigrati ‒ e nonostante questo vengono ancora discriminati. Sì, in futuro mi piacerebbe tantissimo impegnarmi di più in prima persona, lo sento come un dovere etico e morale.”
Cosa pensi delle modifiche ai decreti Salvini di cui si è parlato nelle scorse settimane?
“Sto seguendo la questione. I decreti Salvini hanno introdotto dei requisiti per la cittadinanza che prima non c’erano, come l’aumento del tempo necessario per la richiesta da 2 a 4 anni, e che non sembrano essere stati tolti ora. Portare la tempistica da 4 a 3 anni non mi sembra una gran cosa, c’è ancora molto da fare: lo Ius Culturae, far avanzare certe proposte ferme in parlamento o agevolare alcune dinamiche. Per esempio, oltre il fatto che devo vivere col terrore che ogni 5 anni non mi venga rinnovato il permesso di soggiorno, io sono laureato in Italia ma non posso partecipare ai concorsi pubblici. E con me tanti altri giovani che vorrebbero diventare medici, giuristi, dare il loro contributo al paese, e invece vengono discriminati perché ancora non hanno la cittadinanza italiana.”
C’è tanta passione nelle parole di Enaiat che viene spontaneo chiedersi se a questo punto ci sarà posto, prima o poi, per un terzo libro. A questa domanda, però, risponde Fabio, che fa capire quanto affetto c’è alla base di questa collaborazione, un rapporto di amicizia che ha contribuito alla riuscita di entrambi i libri e al loro successo.
“Se tu mi avessi chiesto due anni fa se avessimo intenzione di scrivere Storia di una figlio, ti avrei detto di no. È arrivato in maniera inattesa, era l’inizio del 2019, stavamo parlando del fatto che nel 2020 Nel mare ci sono i coccodrilli avrebbe compiuto 10 anni e sarebbe stato bello festeggiarlo in qualche modo, magari parlando di quello che era successo in quel tempo. Spesso i lettori ci chiedono: ‘Che ne è stato di Enaiat? Come sta?’, e allora siamo partiti da lì, ma ci siamo presto accorti che ne veniva fuori ben più di un’appendice al primo volume, proprio un altro libro. In genere le biografie vengono scritte postume o a cose fatte, mentre noi mettiamo insieme una storia che in parte deve ancora svolgersi. E allora forse sì, forse a questo punto ci solletica l’idea di fare un terzo libro tra dieci anni, registrare una vita man mano che si svela… lo trovo meraviglioso.”