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Guido Bernardinelli: "Manifattura italiana cruciale nel recupero post covid"
Intervista a Guido Bernardinelli, Ceo di La Marzocco
| Guido Bernardinelli | Ceo di La Marzocco
In un recente Rapporto Export 2020 di Sace, nonostante una contrazione dell’export attesa per il 2020 a -11,3%, si prevede una ripresa delle esportazioni rapida per il prossimo anno (+9,3%). Ci sono tutti i segnali per cui, anche stavolta come in occasione sia della crisi Lehman che dei Debiti Sovrani, potrebbe essere il nostro Made in Italy a tirarci fuori dai guai o quanto meno a ridurre l’impatto economico dell’emergenza sanitaria dei prossimi mesi, che in ogni caso saranno sfidanti.
Ne abbiamo parlato con Guido Bernardinelli, ceo di La Marzocco, azienda italiana di eccellenza, che produce a Firenze macchine da caffè professionali di alta gamma, il cui fatturato per il 97% proviene dai mercati internazionali.
Bernardinelli, perché la manifattura italiana sarà cruciale nella fase di recupero post emergenza sanitaria?
Non vi è dubbio che l’immenso patrimonio storico, artistico e culturale italiano, rappresenti un elemento distintivo – e a tratti inconfondibile – della qualità dello stile di vita italiano. Una qualità che tutto il mondo continua ad amare, ammirare ed emulare. Nel Made in Italy, i consumatori rintracciano il DNA del nostro patrimonio, che riconoscono nell’ingegno dei nostri designer e stilisti, nella creatività dei nostri chef e nel “saper fare” dei nostri artigiani. Dal nostro osservatorio privilegiato, che ci vede produrre in Italia ed esportare in cento paesi del mondo, stiamo notando che la gente è ancora più di prima attratta da oggetti che sono in grado di raccontare una storia. Può sicuramente essere una reazione all’emergenza sanitaria globale, che ha visto miliardi di persone isolate con contatti sociali ridotti al minimo, ma anche un effetto della guerra sui dazi e delle pulsioni nazionalistiche portate avanti dall’amministrazione Trump. In Cina, uno dei nostri mercati principali, le persone hanno una grande voglia di uscire, di divertirsi, di ripartire, vogliono compare cose per cui valga la pena spendere, oggetti belli e benfatti. Si tratta di uno scenario particolarmente premiante per l’Italia, che è riuscita a mantenere negli anni questo posizionamento distintivo della propria industria, grazie alla capacità di realizzare prodotti di alta qualità e di saperli presentare bene.
Cosa dovrebbero fare le istituzioni per rendere la manifattura italiana più competitiva?
A mio parere, ci sono due provvedimenti urgenti da implementare. Innanzitutto, trovare un modo per ridurre le tasse sul lavoro. Non è possibile che l’Italia si trovi a competere con nazioni come la Germania, in cui il carico fiscale sulle spalle delle aziende è sensibilmente più ridotto. In Italia, le aziende hanno paura ad assumere, a far crescere i giovani, perché temono di ridurre la propria sostenibilità finanziaria, visto l’alto costo di fare business a carico degli imprenditori. Ed è ancora più frustrante vedere che a questo ingente carico fiscale non corrisponda un sufficiente livello di servizi a favore dei cittadini. Poi c’è il tema della digitalizzazione della manifattura, che non vuol dire necessariamente automatizzare, bensì ottimizzare i propri processi, rendendoli più snelli, alleggerire la burocrazia interna, ridurre i tempi di produzione, senza snaturare l’artigianalità del manufatto. Bene, a oggi, nonostante le linee-guida del Recovery Fund, mi sembra che il Governo parli di digitale come uno slogan, ma non abbia ancora realmente partecipato attivamente a progetti importanti di trasformazione digitale che possano lanciare un messaggio concreto alle industrie. E con questo intendo anche la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, se escludiamo l’obbligo di fatturazione elettronica.
Come vede il futuro dell’export Made in Italy?
Lo vedo in maniera molto positiva. All’estero, i nostri prodotti continueranno a essere vincenti. In parellelo, credo che anche il mercato interno sarà premiante per le nostre produzioni, perché gli italiani stanno diventando consumatori sempre più attenti, che prediligono la qualità quando scelgono di acquistare prodotti in ambiti chiave come il food & beverage, la moda, e il design.
Recovery Fund: in che modo potrà aiutare l’Italia a crescere nei prossimi anni?
È banale affermare che si tratta di fondi importanti e che potenzialmente sarebbero in grado di indirizzarci verso un percorso di crescita sostenibile come paese. Il problema è capire in che modo verranno impiegati i fondi, perché al momento non vedo progetti concreti legati al tema della sostenibilità o del digitale. Sul tema dell’ambiente, inoltre, dobbiamo fare in fretta, perché il punto di non ritorno è sempre più vicino. Abbiamo bisogno di una politica ambientale forte che arrivi dall’alto, programmi concreti e di lungo periodo, non può occuparsene sempre e solo l’imprenditore, con iniziative private e a macchia di leopardo. La dicotomia tra politica e popolo mi pare sempre più accentuata. Gli italiani sono un popolo laborioso, che rispetta le regole, che si dà da fare e che sa fare. La politica sembra incapace di guidare la propria gente, con una visione strategica efficace: il “faremo” raramente si trasforma in “abbiamo fatto”. Uno dei nostri annosi problemi.