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Il film Barbie finisce sul grande schermo: la svolta del branded content
Il fenomeno Barbie è interessante per chi si muove nell’ambito del retail e di tutto quello che gira attorno: ecco perchè
Per decenni, la pubblicità è stata qualcosa che il consumatore doveva sorbirsi per guardare una serie tv o una partita (i più vecchi ricorderanno la campagna Non s’interrompe un’emozione), un incomodo che, oggi, grazie ad un extra pagamento sulle piattaforme di streaming, si può evitare di guardare.
Oggi la pubblicità esce dalla logica dello spot 30 ss ed entra direttamente nel film, ne è parte costitutiva, anzi presupposto. E questo avviene perché si è capito, già da un po’, che quello che rende di più è la co-creazione di contenuti. E che, piuttosto che interrompere un film, forse è più utile crearlo.
Un modello che non è più branded content, ma è content pagato dai brand. In parte è già successo: il boom dello stile anni ‘80 affermatosi dopo Stranger Things, o quello degli scacchi dopo The Queen’s Gambit, piuttosto che le scarpe Manolo Blanik ai tempi di Sex and the City. Oggi però siamo davanti ad un nuovo fenomeno: il marchio che crea, dall’inizio, prodotti di intrattenimento perfettamente in linea con il marchio stesso e in grado di connettere (leggi fidelizzare) i consumatori a un livello completamente diverso, i marketer che, al posto di chiamare i produttori di Hollywood (o di Cinecittà) per promuovere il film, li chiamano per crearli.
Una rivoluzione copernicana che fa sì che gli adv non durino più 30 ss ma diventino lunghissimi spot. Dove i brand creeranno direttamente cultura pop piuttosto che limitarsi ad utilizzarla per raggiungere i consumatori. Eh sì, sarà interessante vedere cosa innescherà Barbie che, come noi donne già sapevamo, è molto più di una semplice bionda.