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"Su Giletti servilismo preventivo verso Cairo". Corsera, Cavalera ad Affari

Maria Carla Rota

"L'intervista a Giletti regalo al CorSera". Urbano Cairo ad Affari. 'I conti Rcs? Positivi'

“E’ anche peggio. Una marchetta non richiesta è una marchetta regalata”. Cosi Fabio Cavalera, storico giornalista del Corriere della Sera, replica a Urbano Cairo, che è intervenuto su Affaritaliani.it dopo le polemiche suscitate dall’intervista a Massimo Giletti pubblicata dal quotidiano di via Solferino in occasione del suo passaggio dalla Rai a La7. “Quell’intervista è il mio regalo di compleanno al Corriere, altro che marchetta…”, ha spiegato l’amministratore delegato di Rcs al direttore di Affari Angelo Maria Perrino.

Fabio Cavalera, che ne pensa?
“Faccio una premessa. Non sono un moralista e mettere sale e pepe nei giornali va bene, ma conta come lo fai. La notizia va valutata. Nei giornali ci sono sezioni tematiche. Ci stava un’intervista a Giletti, anche in apertura, anche a pagina intera, ma andava messa in spettacoli e non in politica. Io vengo da questa scuola. La foto, poi, è da marchetta esplicita (Cairo e Giletti sorridenti mentre firmano il contratto, ndr). Pubblicare questo pezzo nella sezione nobile del giornale, con quell’immagine e con un richiamo in testa alla prima pagina, ha tutte le stigmate della marchetta”.

“Un'opportunità giornalistica”, l’ha definita Cairo, specificando che online era il pezzo più letto. E ha aggiunto: "Io rispetto scrupolosamente l'autonomia delle redazioni e non mi intrometto mai nei nostri giornali”.

“Gli credo  quando dice di non aver chiesto nulla, ma questo è ancora più preoccupante. Temo si tratti di una marchetta preventiva. Rischiamo di ragionare su quello che va bene o meno all’editore, danneggiando in questo modo anche lui. Occorrono realismo e buon senso, altrimenti si tratta di servilismo preventivo”.

Certo un editore come Cairo è di rottura rispetto alla storia del Corriere. La redazione sente il cambiamento di un’epoca?
“Io spero che i giornalisti facciano il loro lavoro e non buttino i paletti del buon senso alle ortiche. L’intervista a Giletti è stata ben scritta dal collega, ma pesa il suo confezionamento. Non credo che il New York Times o il Guardian, che sono testate di riferimento in redazione, si sarebbero permessi un’operazione del genere. L’avrebbero fatta il Sun, il Daily Mail e altri tabloid. Lo dico avendo trascorso all’estero molti anni, come corrispondente da Londra e da Pechino. La storia e l’autorevolezza di un quotidiano come il Corriere della Sera non vanno stravolte. Sicuramente Cairo ha in mente un modello di giornale, a partire dalla sua scommessa sulla possibilità che la carta stampata sia ancora profittevole, ma non stiamo parlando di un rotocalco che si vende a un euro in edicola. Stiamo attenti a una progressiva deriva”.

Quanto sta cambiando il modo di fare giornalismo rispetto al passato?
“E’ un problema di tutti, non solo del Corriere, e non mi piace fare confronti con il passato. Io guardo al presente. Bisogna continuare a essere seri professionalmente e con la schiena dritta. Purtroppo oggi si copia troppo, si verifica poco, si fanno troppi piaceri e troppe marchette volgari”.

Spesso la qualità è compromessa anche dai continui tagli che vengono fatti nelle redazioni e tra i collaboratori.
“Il problema è anche questo. Io appartengo a una categoria di garantiti. Le nuove leve vengono usate come carne da macello. Si pagano niente e si fanno lavorare. Molte cose sono cambiate: non c’è più il sindacato, non c’è più la solidarietà… Ho assunto tanti giovani nel corso della mia carriera perché è importante cercare nuove risorse e nuove idee. Ma questo nei grandi giornali non avviene più, al Corriere come altrove, tranne piccoli casi di nepotismo e amicizia”.

C’è chi parla di brontolii della vecchia guardia corrierista, forse anche in vista dei prepensionamenti.
“Io a fine anno me ne vado e sono contento. Non tutti forse la vivono così. Ma non creiamo una spaccatura generazionale, non guardiamo al passato. Il ricambio è bello e necessario”.

Oggi Cairo, uomo della pubblicità con il taccuino sempre in mano, presenta i conti. Quando si quotò in Borsa (allora era concessionario anche di Affaritaliani.it) e lanciò testate come "Diva e Donna" e “For men", disse al direttore Angelo Maria Perrino che prima di tutto lui doveva far parlare i numeri.
“E’ una cosa che sa fare bene ed è inevitabile. Di fronte alla vecchia gestione del Corriere, che aveva lasciato una voragine e una situazione prefallimentare, deve fare il suo lavoro. Credo che i numeri di oggi non saranno negativi, fermo restando il peso del passato, che non è colpa di Cairo. A lui si può chiedere di mostrare i nuovi progetti, di investire sui giovani, di pagare i collaboratori, di agire sulle aree di sperpero e di contare quanti manager sono davvero utili. Alla redazione e al sindacato spetta il compito di dialogare per conciliare tutti questi aspetti con la qualità e con scelte di buon senso e dignità”.