Medicina

Il Covid può (finalmente) aiutare a smettere di fumare?

Appello a Draghi e Speranza: "SI riprendano gli screening per fumatori"

“Smettere di fumare durante il lockdown si può: nel corso della pandemia l’utilizzo di tabacco e dispositivi sostitutivi è generalmente aumentato, ma una percentuale di persone giovani e di mezza età ne ha invece approfittato per ridurlo.” Lo sottolinea l’Istituto Europeo di Oncologia nel suo messaggio per la Giornata Mondiale senza Tabacco 2021.

“La situazione attuale tracciata dalla comunità scientifica internazionale e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato due trend contrapposti. Nella prima fase della pandemia è stato registrato un aumento del consumo giornaliero di sigarette, in particolare, nella popolazione femminile rispetto a quella maschile; dato che conferma come il fumo di sigaretta sia in crescita nelle donne, così come le patologie fumo correlate. Le gravi conseguenze sociali, economiche, l’accresciuto livello di incertezza e l’isolamento sociale prodotto dalla situazione pandemica hanno generato un aumento di emozioni negative come: ansia, paura, senso di solitudine e depressione. Tali stati emotivi rappresentano importanti barriere all’abbandono del comportamento tabagico, in particolare, in quei fumatori che vedono nella sigaretta uno strumento attraverso il quale modulare i propri vissuti emotivi” spiega Gabriella Pravettoni, Direttore della Psicologia e Responsabile del Centro Antifumo IEO, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano.

“Contemporaneamente accanto a questo trend di crescita è stata osservata una riduzione del fumo di sigaretta nelle fasce d’età dai 18 ai 34 anni e dai 30 ai 50 anni- continua Pravettoni - Nelle fasce più giovani (18-34 anni) è probabile che la sospensione sia stata favorita dalla riduzione della socialità e dall’isolamento collegato con i momenti più restrittivi del lockdown. Infatti, nei giovani fumatori la sigaretta, oltre che avere un valore di ricerca dell’identità, ha una dimensione sociale fondamentale. Dunque il venir meno del contatto con il gruppo dei pari, così come le occasioni di divertimento e condivisione, potrebbe aver spinto molti giovani fumatori ad abbandonare il fumo di sigaretta. Diversamente è possibile ipotizzare che nei fumatori più anziani (30-50 anni) la pandemia abbia in qualche modo rappresentato un momento in cui riflettere sui danni causati dal fumo alla propria salute, promuovendo una maggiore consapevolezza rispetto al rischio e spingendo a fare dei concreti tentativi di sospensione. Un ulteriore aspetto che deve essere tenuto in considerazione, per spiegare la decisione di interrompere, è collegato con le caratteristiche del virus: il COVID19 è una malattia che affligge primariamente il sistema respiratorio dunque i fumatori, rispetto ai non fumatori, rappresentano una popolazione più a rischio, avendo la funzionalità polmonare potenzialmente compromessa. In questo gruppo di fumatori, soprattutto tra coloro che si percepiscono come più suscettibili a contrarre l’infezione, il COVID19 potrebbe aver favorito un aumento dei tentativi di smettere di fumare o una riduzione del numero di sigarette giornaliere”.

“Il danno che il Covid ha arrecato alla popolazione di fumatori ed ex-fumatori è enorme perché li ha allontanati dagli ospedali. - conclude Lorenzo Spaggiari, Direttore del Programma Polmone IEO e Professore all’Università degli Studi di Milano- Da mesi noi oncologi segnaliamo che il blocco di esami e visite oncologiche con lo stop agli screening ha creato le premesse per una epidemia di tumori nei prossimi anni, compreso quello del polmone. Per questo abbiamo mandato un messaggio al Presidente del Consiglio, Mario Draghi e al Ministro della Salute, Roberto Speranza, perché l’Italia diventi il primo Paese in Europa a introdurre un programma pubblico di screening con tac a basse dosi per i forti fumatori e così ridurre del 25% la mortalità per cancro polmonare, che oggi miete 35.000 vittime ogni anno.”