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Medicina

Omicron: "Così si rischia di allontanare la possibilità di guarigione per molti malati oncologici” 
 


Dopo quasi due anni di pandemia si assiste nuovamente ad una fortissima riduzione di attività diagnostiche e interventi chirurgici per molti pazienti e anche per i malati oncologici. Sicuramente qualcosa non ha funzionato e sarebbe corretto ammetterlo. Anche perché le soluzioni per evitare ulteriori ritardi e che i progressi raggiunti in termini di guarigione e di sopravvivenza per i malati oncologici vengano vanificati dalla pandemia ci sono: dal potenziamento reale della medicina territoriale alle cure precoci domiciliari fino all’utilizzo di medici pensionati e medici militare negli Hub vaccinali per far sì che i medici degli ospedali non siano sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica. 

La lettera aperta dei primari oncologi

E’ questo il senso della lettera aperta firmata da Luigi Cavanna, presidente del Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri. “Negli ultimi anni sono stati ottenuti progressi molto importanti nella cura di pazienti affetti da tumore maligno: aumento di guarigioni, prolungamento della sopravvivenza per chi non guarisce e miglioramento della qualità di vita per la maggior parte dei pazienti. Questi progressi sono stati ottenuti attraverso la prevenzione (screening), la ricerca tecnica, biologica, farmacologica, e strategie di cura multiprofessionale. Questi importanti progressi rischiano di essere vanificati dalla pandemia Covid-19”, si legge nella lettera. Una situazione, dice Cavanna che ha bisogno di alcune considerazioni.

Intervenire in ritardo può costare molte vite

“A febbraio-marzo 2020 il nostro Paese, soprattutto il Nord, è stato pesantemente colpito dalla pandemia, con le conseguenze che tutti ben conoscono e per quanto concerne i malati di tumore questo si è tradotto in: blocco degli screening, ritardi diagnostici, ritardi per interventi chirurgici ecc. Per una malattia tempo-dipendente come il cancro, il ritardo della diagnosi e dell’intervento chirurgico (si pensi ai tumori di stomaco, colon, mammella, ecc), può significare la perdita di possibilità di guarigione vera ed essere quindi destinati a morire per una malattia che se trattata in tempo utile poteva essere guaribile; a marzo-aprile 2020 si è assistito e si è accettato che una buona parte degli ospedali pubblici e privati del nostro Paese fosse riconvertita per le cure esclusive di malati Covid, con sospensione o fortissima riduzione delle attività diagnostiche e di interventi chirurgici per molti pazienti - malati oncologici compresi - diventa ora molto difficile accettare che tutto questo si stia ripetendo dopo quasi due anni di pandemia”, aggiunge l’oncologo che prosegue: “Due anni in ambito medico, scientifico e sanitario sono una enormità. In due anni cambiano tantissime conoscenze, merito della ricerca, non solo biomedica, farmacologica e tecnica, ma anche organizzativa, relazionale ecc. Perché dopo 2 anni gli ospedali si stanno nuovamente riempiendo di malati Covid? Perché gli interventi diagnostici e chirurgici anche per i malati oncologici sono ancora ritardati- rimandati? Sicuramente qualcosa non ha funzionato e crediamo sia corretto ammetterlo.

Le proposte per risolvere il problema

Quali soluzioni allora? “Ci sia permesso ricordare che in oncologia, attraverso la ricerca clinica ed organizzativa su di una malattia che fino a poco tempo fa non la si chiamava per nome, tumore o cancro, ma si preferiva chiamarla “brutto male”, sono stati sviluppati molteplici processi innovativi”, sottolinea il presidente del Collegio degli oncologi ospedalieri. “Si pensi agli screening, che sono essenzialmente oncologici, si pensi alle cure del fine vita quando la guarigione non è possibile: le cure palliative e gli

hospices sono stati introdotti per i malati oncologici. Sono stati inoltre sviluppati anche i concetti della cura multiprofessionale, multidisciplinare, diventati poi modello di comportamento pratico anche per altre branche della medicina e chirurgia. Sosteniamo, inoltre, che venga finalmente potenziata la medicina territoriale (molto declamata negli ultimi mesi), che si sviluppino una volta per tutte le cure precoci domiciliari, in modo da lasciare liberi gli ospedali. In due anni di pandemia troppa poca ricerca è stata finalizzata alle cure precoci ed i drammatici risultati si stanno vedendo. Chi oggi, a gennaio 2022, ha bisogno dell’ospedale per patologie non Covid-19 rischia di non ricevere una cura adeguata, o comunque di gran lunga inferiore al gennaio 2020 (pre Covid). Ora sono in commercio farmaci per bocca per le cure precoci a domicilio del Covid, si sviluppino quindi protocolli diagnostico/terapeutici su base scientifica per le cure domiciliari e si raccolgano i dati e si faccia ricerca. La cura precoce domiciliare deve prevedere un approccio multidisciplinare tra medici del territorio, medici specialisti ospedalieri, medici delle unità speciali di continuità assistenziale (Usca). L’obiettivo deve essere quello di ridurre i ricoveri e lasciare liberi gli ospedali per pazienti non Covid”.

Non vanno usati i medici ospedalieri per fare i vaccini 


Passando ad esaminare i vaccini, negli Hub vaccinali, sottolinea la lettera, non vengano dirottati i medici degli ospedali, sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica (endoscopie, ecografie, ecc) con conseguente impatto molto negativo sui tempi di diagnosi. “Si chiamino medici pensionati, si dia l’incarico a medici militari. E, soprattutto, sarebbe opportuno che nelle loro apparizioni i virologi parlassero con più umiltà e non con arroganza, avendo il coraggio di dire che molti aspetti ancora non si conoscono e qualche volta dire “non lo so”, si infonde fiducia e rispetto, anche per chi la pensa diversamente”.

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