Politica
Direzione Pd, cresce il fronte anti-Renzi
Pd, Renzi attacca: no a pretesti per rompere
Direzione Pd, tensione alle stelle alla vigilia della riunione fissata per le 15 di giovedì a Roma. Prima i renziani pubblicano un testo per mettere dei paletti al dibattito politico sull'accordo con i 5 Stelle. Poi il sito senzadime.it mappa con nomi e cognomi le posizioni dei componenti della Direzione del Pd proprio sulla trattativa con il M5s. Una sorta di pre-conta prima di una conta vera e propria in Direzione. Le due iniziative, giunte in un momento di tensione al calor bianco dopo l'intervista di Matteo Renzi a 'Che tempo che fa' di Fabio Fazio, hanno provocato un acceso scontro nel partito. Una gran parte dei dem grida alle liste di proscrizione e invoca la chiusura di senzadime che nel pomeriggio sostituisce i nomi dei parlamentari con altrettanti omissis, spiegando che il "Pd non è una società privata come la Casaleggio Associati". E che il sito "si limita a riportare opinioni espresse pubblicamente". "La conta promossa dai capigruppo per non fare la conta ancora non si era mai vista", chiosa ironico Andrea Orlando. "Nessuna conta interna, ma un appello all'unità" ribatte Graziano Del Rio.
Nel tentativo di riportare la pace scende in campo - in una riunione con i senatori dem - Renzi in persona, ribadendo che il testo di Guerini era una iniziativa che mirava all'unità del partito. Una iniziativa, ha sottolineato l'ex segretario, che mirava all'unità del partito. Spero, ha sottolineato, che non vogliano cogliere pretesti per rompere. Renzi si è augurato inoltre che domani la direzione si chiuda in maniera unitaria, senza strappi. Accoglie l'appello Dario Franceschini. Ma risponde con una provocazione. "Anch'io come Renzi spero nell'unità del partito domani in direzione". "L'unità - aggiunge - si può costruire facilmente, anche passando dalla chiarezza di un confronto politico, ma partendo da un voto esplicito di fiducia della Direzione al segretario reggente. E sono certo che Renzi, che ha a cuore come tutti noi l'unità del Pd, sarà il primo a votare la fiducia al suo ex vicesegretario".
Il documento a prima firma Lorenzo Guerini è piombato sul tavolo della discussione spazzando via l'ordine del giorno su cui la Direzione era stata convocata: decidere se fosse il caso o meno di sedersi al tavolo delle trattative con il M5s. Un ordine dei lavori che era stato messo già in discussione dall'intervista di Matteo Renzi nello studio di Fabio Fazio, a 'Che tempo che fa'. In quell'occasione l'ex segretario aveva ribadito la sua contrarietà a un governo a guida Lega o M5s, aprendo invece ad un governo di tutti in grado di riscrivere le regole istituzionali.
Ecco i tre punti del documento redatto dai renziani sui quali da ieri è partita una raccolta di firme tra i parlamentari e i membri della Direzione del Pd. Niente "conte interne" alla direzione di domani: lo "stallo" politico è "frutto dell'irresponsabilità" di M5s e centrodestra. Sì al confronto ma niente fiducia "a un governo guidato da Salvini o Di Maio". Al momento sarebbero state totalizzate le firme di 77 deputati su 105 e 39 senatori su 52. Tra i firmatari anche i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci.
È scontro sui numeri. Stando ai calcoli dei renziani sarebbero 39 su 52 i senatori che apporranno la loro firma in calce al documento di Guerini e 77 su 105 i deputati. Tanto basterebbe, spiegano fonti parlamentari di area Renzi, a "ribaltare le scelte della Direzione: qualsiasi fiducia a un governo Lega o M5s passerebbe comunque dalle aule parlamentari". Di avviso opposto è la minoranza per la quale i numeri in gioco non sono così netti. E, quasi a dimostrare la fiducia nelle proprie forze, orlandiani e franceschiniani sembrano decisi a portare in Direzione un documento pro-Martina che lo certifichi.
Il manifesto dei "cento parlamentari" per il no ai Cinquestelle di Guerini avrebbe dovuto solo essere solo un avvertimento, un'arma di riserva a cui Matteo Renzi aveva alluso per evitare la conta domani in direzione. Matteo Orfini da un lato, e il "giglio magico" renziano dall'altro - ovvero Luca Lotti, Francesco Bonifazi, Maria Elena Boschi, Dario Parrini, Andrea Marcucci - ne sarebbero i promotori. E invece il documento ha preso corpo, cominciando a circolare negli ambienti parlamentari, probabilmente perché nel frattempo gli equilibri interni sono apparsi più instabili del previsto. Come testimonia anche il deputato dem Roberto Giachetti, che questa mattina ad Agorà aveva detto: "Il Partito democratico non è monolitico, può essere che Renzi non abbia la maggioranza in direzione".
Dario Franceschini, nel commentare il sito senzadime.it, che raccoglie le liste di componenti della direzione favorevoli e contrari alla trattativa sul governo con il M5s, afferma su Twitter: "Quando in una comunità politica alla vigilia di una discussione seria che riguarda il partito e il Paese si arriva a questo, c'è qualcosa di profondo che non va".
Anche Martina critica l'iniziativa di matrice renziana: "Leggo di un sito che classifica i componenti della nostra direzione Pd sulla base delle opinioni espresse a proposito del confronto con il Movimento Cinque stelle. Siamo arrivati a questo? Voglio credere per tutti di no e mi aspetto che venga chiuso. C'è un limite che non andrebbe mai valicato". E di lì a poco il sito in questione ha cancellato tutti i nomi (qui di seguito un'immagine del sito prima dell'oscuramento dei nomi).
Ma pure alcuni renziani si sono indignati per l'iniziativa del sito. È il caso di Emanuele Fiano. "Senzadime.it è una cosa orribile - ha twittato il deputato dem - estranea alla mia cultura democratica. Chi lo ha fatto lo chiuda, non c'entra niente con il Pd, con il nostro modo di discutere, magari anche di litigare, ma di lavorare per un progetto, non per chiudere recinti".
All'organo dirigente del Pd - convocato domani a 50 giorni dall'ultima riunione, che sancì le dimissioni di Renzi da segretario e l'affermazione della linea dell'opposizione - spetta l'ultima parola sull'apertura o meno del dialogo con il Movimento 5 stelle, dopo la netta chiusura di Renzi. Un Pd che arriva all'appuntamento quanto mai diviso, nonostante il lavorio dei pontieri delle varie anime per ricucire gli strappi. Sulla carta i renziani godono di una maggioranza schiacciante che metterebbe al sicuro il loro 'niet' ad ogni ipotesi di trattativa. Ma la stessa area che fa riferimento all'ex segretario è percorsa da sentimenti diversi su questo tema, talvolta opposti. Per questa ragione il risultato non può considerarsi scontato.
La direzione replica i rapporti di forza usciti dall'ultima assemblea, tenutasi nel febbraio 2017. In quell'occasione, Renzi diede una forte impronta personale all'esecutivo Pd, ma lo fece presentandosi in tandem con Maurizio Martina e l'area che all'allora ministro dell'Agricoltura faceva capo, "Sinistra è Cambiamento". Martina, tuttavia, nel frattempo, è divenuto reggente del partito lasciando la maggioranza renziana e opponendosi alla linea aventiniana dell'ex segretario. Oggi, su 214 componenti, sono 103 i renziani duri e puri. Di questi, 18 sono i millennials - ragazzi nati a cavallo del secolo e quindi giovanissimi - nominati direttamente dal segretario e che a lui fanno capo. La maggioranza renziana può contare inoltre su 13 componenti vicini al presidente dell'assemblea, Matteo Orfini.
Gli esponenti della direzione che fanno capo a Maurizio Martina sono 19, gli orlandiani 23, altrettanti i franceschiniani, mentre i membri della direzione vicini a Michele Emiliano sono 13. Il 'partito dei governisti', favorevoli a un dialogo con M5s, conta quindi 78 componenti della direzione. A questi, tuttavia, vanno aggiunti quelli del cosiddetto 'partito dei ministri', formato da esponenti del governo Gentiloni determinati a dare "un contributo al Presidente della Repubblica", come si legge nella relazione votata il 12 marzo all'ultima riunione del parlamentino dem. I ministri presenti in direzione e favorevoli a percorrere la strada indicata da Mattarella e sedersi al tavolo con il Movimento 5 stelle sono almeno 5, ai quali si potrebbe aggiungere Delrio, computato fra i renziani. Va, infatti, sottolineato che l'appartenenza a questa o a quell'area non determina necessariamente il voto su un tema che coinvolge le sensibilità individuali, prima ancora che l'obbedienza al capo corrente.