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Politica
Direzione Pd: dimissioni da segretario, congresso e voto a giugno

Domani ci sarà la direzione Pd e la partita per il segretario del Pd è tutta da giocare.

Matteo Renzi è alle strette e ha fatto bene a convocare questo appuntamento perché altrimenti si sarebbe impegnato in una lunga e inutile guerra di logoramento e di trincea che lo avrebbe portato ad una sconfitta ulteriore; una sconfitta scritta nella cristallizzazione di veti e contro veti, di inerzie, di furbizie, alcune democristiane, molte comuniste, di attese, e di logoramenti.

Come ieri  ci ha detto in una intervista Patrizia Prestipino della direzione nazionale del Partito Democratico, https://www.affaritaliani.it/politica/patrizia-prestipino-renzi-accerchiato-alema-mosso-da-astio-personale-463335.html i tempi sono maturi per l’azione e al segretario del Pd questo si chiede appunto, un’azione che rompa l’accerchiamento a cui è sottoposto dalla data della sconfitta referendaria.

Ora l’ex premier tenta di forzare i tempi dimettendosi dalla sua carica di segretario e parimenti, a norma di statuto, chiedendo la celebrazione congressuale in tempi brevissimi per poi puntare sul voto politico a giugno.

E questo per una serie di motivi.

Il primo è che così facendo tecnicamente il percorso diviene per così dire automatico e cioè salta tutta la fase del dibattito politico in cui voleva insabbiarlo la minoranza e gli scissionisti (per ora entità separate in seguito si vedrà).

Il secondo è che Renzi così facendo sfrutterebbe al massimo il pasticcio Raggi a Roma che gli offre sul classico piatto d’argento la possibilità di sfruttare il momento di maggior debolezza del Movimento di Beppe Grillo.

Infine così facendo Renzi si tiene fuori dallo scoglio pericolosissimo della finanziaria di ottobre che per definizione scontenta tutti.

Certo che davanti a sé ha il nodo irrisolto del suo stesso sistema elettorale che la Consulta ha dichiarato incostituzionale a dicembre 2016 insieme a quanto restava del porcellum bocciato nel 2013; un problema complesso perché non solo si tratta di mettere insieme quasi tutti i partiti ma anche e soprattutto perché alcune forze politiche come Forza Italia e i centristi, potentemente sorretti dal Presidente Mattarella e dalla minoranza Pd, vogliono fare melina per proseguire la legislatura fino alla scadenza naturale del 2018 mentre i deputati vogliono la pensione che si attiva a metà settembre.

Su questo punto è pronto un emendamento tecnico che permette di riscattare gli anni mancanti salvando i contributi già versati.

Il fatto è che Renzi per fare questo deve mantenere una sua maggioranza all’interno del partito e quindi passare per un congresso e le primarie in cui sarebbe sfidato dal governatore della Toscana Enrico Rossi e da quello della Puglia Michele Emiliano.

In tutto questo si deve tenere dentro gli scissionisti che indebolirebbero il partito in vista di una partita durissima soprattutto con i Cinque Stelle mentre il Centro Destra è ancora alla ricerca di una difficile unità.

Come si vede la partita di Renzi -utilizzando un suo stesso cliché calcistico- è veramente difficile proprio per i diversi elementi che devono tutti concorre in una stessa direzione strategica.

Renzi potrebbe farcela solo se ritrovasse l’antico guizzo che regalò al Pd una vittoria storica oltre il 40% alle Europee nel 2013.

Ce la farà?

Il primo passo parte dalla direzione di lunedì.

 

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renzi direzione pdrenzi dimissioni





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