Politica
Elezioni, Renzi “in carrozza” verso Palazzo Chigi o fermo su un binario morto?
Poco importa a Matteo Renzi della rumorosa contestazione che lo attende in ogni stazione all’arrivo del suo treno elettorale nel tour nazionale di otto settimane. “Fare la vittima” degli intransigenti, per lo più grillini o di sinistra radicale, aiuta il disegno del segretario del Partito democratico teso a ricollegarsi con la maggioranza silenziosa degli italiani, liberandosi dalle frange estreme.
L’obiettivo di Renzi è infatti quello di dimostrare di essere nel giusto, proprio perchè nel mirino di chi vuole portare il Paese sul crinale dell’avventurismo nella logica del “tanto peggio tanto meglio”, di essere “in sintonia” con gli italiani interpretandone delusioni e aspettative. La furia dell’antipolitica ha da anni spazzato via i partiti democratici diventati padronali o personali, di fatto comitati elettorali blindati, centri di potere in una perversa commistione fra politica e affari. Ora, per saziarne la fame di vendetta, va dato in pasto a consistenti parti dell’opinione pubblica, il singolo inadempiente o incapace o il mariuolo di turno – meglio se figura istituzionale importante - ergendosi a paladini di chi da sempre subisce il potere. Se Grillo vuole spazzar via i (politici) malfattori dando alle fiamme anche i palazzi del potere in una furia distruttiva che impaurisce i più, Renzi intende – come nell’affaire Visco - dimostrare di essere lui il vero difensore dei più deboli, dei risparmiatori fregati da banchieri carogne e da banche dai piedi d’argilla e da Bankitalia che doveva vigilare ma non l’ha fatto.
Con la sfiducia a Ignazio Visco è dunque partita l’offensiva politica di Renzi per imporre subito alla campagna elettorale una propria linea identitaria, una scorciatoia strumentale e ad alto rischio che metta in piazza significativi “capri espiatori” per dimostrare che “chi sbaglia paga”, che si sta dalla parte dei più deboli, che non si guarda in faccia a nessuno, che si può finalmente fare “piazza pulita”. Il messaggio è chiaro: “Datemi i voti per ritornare a Palazzo Chigi da premier e dimostrerò che questo è solo l’inizio!”. Un deciso salto di “qualità” del populismo e della demagogia prodotta fin qui, ben oltre le sparate isteriche di Grillo, i piagnistei da coccodrillo di Bersani, le minacce livorose di D’Alema.
Visco meritava il siluro perché non ha vigilato sulle operazioni delle banche andate ko? Sono state rispettate tutte le regole di correttezza legale, amministrativa, istituzionale? In questo quadro sono solo dettagli: la posta in gioco è un’altra, totalmente politica in un gigantesco scontro di poteri anche a livello internazionale in cui c’è in ballo il futuro dell’Italia. Così l’affondo su Visco non è un azzardo isterico, un complotto a caldo dal sapore personale (contro il governatore della Banca d’Italia e a favore della Sottosegretaria Boschi) ma una mossa studiata a freddo, primo atto di una strategia politica e di comunicazione mirata e ad effetto per far riprendere quota – soprattutto elettoralmente - a Renzi spennato dopo il referendum di un anno fa e al Pd in mezzo al guado, con la spada di Damocle del prossimo voto in Sicilia. E’ un gioco al massacro ben oltre i confini del Partito democratico. La prima freccia avvelenata è stata tirata contro Visco e altre ne seguiranno in una escalation dai contorni incerti e ad alto rischio per la stessa democrazia. In modo diverso, sia il premier Gentiloni che il capo dello Stato Mattarella, hanno la responsabilità di non aver risposto con la necessaria fermezza alla mossa renziana.
Insomma, Renzi forza la mano. Capo di un partito in gran parte di ex comunisti, lui stesso ex diccì e anti comunista che oggi pare ricorrere ai metodi dei partiti comunisti: cioè l’idea che la legalità formale, la legge, la verità storica, persino le regole morali, valgono soltanto fino a quando non interviene la ”legge del partito”. In questo caso la legge del partito del capo. La legge di Matteo.