Politica
Governo, crisi prima delle Regionali e voto a marzo. L'ipotesi choc
Così prescrizione e Fondo Salva-Stati logorano la maggioranza
Mercoledì 4 dicembre 2019 rischia di passare alla storia come il giorno che ha segnato la svolta negativa per il secondo governo guidato da Giuseppe Conte. A parte le polemiche sulla Legge di Bilancio, che comunque dovrà essere approvata entro fine anno se non si vuole far scattare l'aumento dell'Iva, sono due i fronti che minano l'esecutivo e la maggioranza giallo-rossa.
Il primo è quello della norma che blocca la prescrizione e che il Movimento 5 Stelle pretende entri in vigore dal primo gennaio senza se e senza ma. Il rinato asse di ferro tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, che ormai parlano con una voce sola, sta davvero riportando i pentastellati non certo in direzione Lega di Matteo Salvini, ma verso un ritorno alle origini che inevitabilmente crea sempre maggiori frizioni e contrasti con il Partito Democratico e con Italia Viva.
Zingaretti e i suoi stavolta non intendono fare passi indietro e in assenza di un'intesa nella maggioranza o di un difficile compromesso, il Pd potrebbe avanzare una propria proposta che posticipi il blocco della prescrizione in attesa di una riforma organica della giustizia per ridurre i tempi della durata dei processi. E ovviamente l'opposizione di Centrodestra non aspetta altro per infilarsi nelle divisioni della maggioranza, considerando anche che i renziani hanno già detto di essere pronti a votare con Forza Italia, la più attiva nella battaglia contro lo stop alla prescrizione.
Come sempre il premier Giuseppe Conte, al termine del vertice Nato di Londra, ha gettato acqua sul fuoco affermando che "stiamo lavorando a una soluzione e ci arriveremo". Ma la tensione è alle stelle e alla determinazione del duo Di Maio-Di Battista, il Pd risponde che con gli ultimatum non si va avanti. L'altra tegola per l'esecutivo viene di nuovo dal Meccanismo Europeo di Stabilità. A gettare benzina sul fuoco è stato il presidente dell'Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, che ha candidamente affermato che "non c'è alcuna ragione per cambiare il Mes" che "verrà firmato a gennaio".
Una doccia non fredda ma gelida. In Italia i 5 Stelle insistono e, sempre guidati dall'asse Di Maio-Di Battista, pur senza allinearsi alla "propaganda" di Salvini e Meloni, chiedono cambiamenti, modifiche e un rinvio per un ulteriore approfondimento. Il Pd è pronto a votare il testo, Italia Viva si chiama fuori, il M5S dice che così non va bene, Conte rilancia la logica del pacchetto, ma Centeno (uno dei tanti euroburocrati che guidano questa Ue) prende a schiaffi l'Italia e il suo governo mettendo in forte imbarazzo il presidente del Consiglio.
La maggioranza sta faticosamente cercando anche su questo argomento un'intesa in vista del passaggio in Parlamento della prossima settimana prima del Consiglio europeo ed è ovvio che le parole nette e inequivocabili del presidente dell'Eurogruppo non fanno altro che irrigidire i 5 Stelle, ridando fiato a quella parte di pentastellati che nutre ancora un forte scetticismo verso Bruxelles. La conseguenza è ovvia: le possibilità di un accordo con il Pd e Italia Viva si fanno ancora più remote.
Prescrizione/Giustizia ed Europa/Mes, due temi centrali del dibattito politico e due temi sui quali la maggioranza è oggi ancora più divisa. Quell'anima di cui parlava Zingaretti, che il governo deve trovare per non tirare a campare non solo, non c'è, ma nemmeno si vede all'orizzonte. Il Pd non vuole la logica del contratto modello governo giallo-verde, ma un'intesa politica chiara e complessiva. L'attivismo del duo Di Maio-Di Battista e la logica degli ultimatum (si fa così, punto) rende tutto più difficile.
Senza dimenticare le elezioni regionali del 26 gennaio con l'incubo (per la maggioranza) di una clamorosa vittoria del Centrodestra a trazione leghista nell'Emilia Romagna ormai ex Regione rossa. Ma attenzione, sono in molti i deputati e i senatori dem che consigliano di non aspettare nemmeno la conta delle schede delle Regionali di lunedì 27 gennaio perché se si va avanti così - con le contrapposizioni su giustizia e Mes, senza dimenticare il resto - probabilmente il governo non ci sarà più prima dell'apertura delle urne in Emilia Romagna e in Calabria.
Quella dei dem non è una minaccia, ma una presa d'atto dell'impossibilità di andare avanti per l'assenza di un progetto coeso, pur riconoscendo il grande sforzo di sintesi del premier Conte. Graziano Delrio è stato chiaro, "il Pd non ha paura del voto", e come è noto Zingaretti in agosto avrebbe voluto le elezioni ma è stato costretto dalla mossa di Matteo Renzi a far nascere l'esecutivo con il M5S. Ma, come spiegano fonti qualificate del Pd, il governo non può andare avanti solo per la paura che altrimenti ritorna Salvini, e stavolta a Palazzo Chigi. "Questo non può e non deve essere il collante".
Ciliegina sulla torta sono anche le nuove sfide che sempre il duo Di Maio-Di Battista sta preparando per il 2020. Dal conflitto di interessi al salario minimo, solo per fare due esempi. Altri terreni di scontro nella maggioranza. E oggi, mercoledì 4 dicembre, le voci al Nazareno che chiedono di staccare la spina per evitare l'autolesionismo di un governo innaturale con i 5 Stelle - prima fra tutte quella del vicesegretario Andrea Orlando - sono decisamente più forti. Tanto che in molti cominciano a ragionare sulle elezioni, non regionali ma politiche, già a fine marzo.