Politica

Governo Lega-M5S, Salvini lancia i tre squilli di tromba

Massimo Falcioni

Governo, crisi? Non c'è e non ci sarà perché Salvini, Conte e Di Maio...

Dagli spalti, fuori dal campo di gioco, le opposizioni ridotte al ruolo di spettatori si illudono che gli avversari al governo del Paese si colpiscano fra loro, eliminandosi.

Un governo di coalizione, si sa, nasce dall’alleanza fra partiti diversi su un programma condiviso: quindi la dialettica, anche aspra, oltre che legittima, è utile, a meno che non degeneri paralizzando l’esecutivo. Le ultime vicende, specie quelle dei 49 migranti sbarcati a Malta (di cui 15 ospitati in Italia) dopo l’odissea in mare di 19 giorni, dimostrano che nel governo la coperta è corta e che per dare coerenza ai programmi e solidità e prospettiva alla coalizione è giunta l’ora del cambio di passo. E’ una questione di sostanza e strategia politica, non tanto o non solo di tatticismi, di metodo e di toni nel rapporto dei protagonisti. Il premier ha esercitato il proprio ruolo: ha fatto bene a fare quello che ha fatto anche se poi vanno sempre misurate le conseguenze politiche di ogni atto. Comunque, l’illusione (o il timore) di un premier Conte “Re travicello” ostaggio dei suoi due vice è crollata di fronte ai fatti. Il capo del Governo ha via via imposto un proprio modus operandi, alzando l’asticella e imponendo a tutti un nuovo refrain, specie alla Ue, spiazzata dalla novità nel metodo e nella sostanza.

La accresciuta autorevolezza del premier, quanto meno all’esterno, ha reso politicamente più forte, non più debole, l’intero governo che così entra nella sua seconda fase, quella del consolidamento, che lo porta alle elezioni Europee (e regionali) di maggio: una verifica per lo stesso Conte, soprattutto per Di Maio e per Salvini. Il M5S nei sondaggi è dato in costante flessione, oggi al 25% dei voti.

Tuttavia Di Maio, a parte qualche sparata, ha sempre badato al sodo, ha orientato le scelte del governo sbilanciandole a favore del suo partito come sulla legge di bilancio e non solo. All’opposto, Salvini ha occupato la scena, soprattutto preso dalla complessa bega dei migranti, una polveriera sempre a rischio di esplosione anche per i risvolti sulla sicurezza nazionale e per i rapporti internazionali.

Salvini è in una posizione scomoda: se alza la voce e tiene in mano il pallino, allora è antidemocratico, emulo di Pinochet. Se abbozza e media, allora è un calabrache, ostaggio, se non del complotto ordito da Conte e Di Maio, quanto meno un vaso di coccio fra vasi d’acciaio, un outsider senza autorevolezza e autorità, preso nella tenaglia degli eventi. Fatto sta che l’ultimo diktat del ministro dell’Interno è stato bruciato dalle decisioni prese da Conte con la Ue lasciando, oltre all’amaro in bocca, strascichi politici con conseguenze, in caso di replay con nuovi sbarchi, tutt’altro che scontate. Le eccezioni valgono in quanto tali. Il rischio non è solo quello che in Italia, chiuse le porte, si può entrare dalle finestre, ma quello più grave – se gli sbarchi dovessero ripetersi – di veder inficiata la credibilità politica di Salvini e di un governo che dice una cosa e ne fa un’altra.

Intendiamoci, Salvini stavolta si è tenuto “il rospo nel gozzo” per senso di responsabilità e di questo gli va dato atto: non è stato certo messo nell’angolo con il vento che nel Paese soffia tutt’ora dalla sua parte, spingendolo a tirare diritto non subendo imposizioni. S’impone, quindi, la svolta nel metodo e nella sostanza, non per dettare unilateralmente l’agenda ma per far rispettare il programma comune, alla base di questo governo. Punzecchiare gli alleati di governo può essere utile se dà risultati, altrimenti servono strumenti più convincenti. Meno utile, forse, incrociare le lame con Baglioni. Come controproducenti sono gli annunci roboanti, le spavalderie, l’aggressività verbale. Proseguire con la politica dei fatti, come fino a pochi giorni fa si è fatto sull’immigrazione.

Salvini ha il tratto politico del vicino di casa che piace agli italiani (uno su tre è con lui) e ha nel suo arco le frecce per ampliare il consenso e per il chiarimento politico necessario mettendo il punto fermo: comunque la crisi di governo non c’è e non ci sarà.

Salvini è l’architrave di questa alleanza e di questo governo e i suoi “tre squilli di tromba” sono un richiamo per tutti alla coerenza, non un ricatto. In democrazia, si sa, i governi non sono eterni. L’alternanza è un valore. Ma oggi questo governo non ha alternative e una sua caduta sarebbe una iattura per il Paese facendo saltare l’avvio della svolta. A dire il vero, l’alternativa ci sarebbe: un (altro) governo “tecnico” imposto da Bruxelles al guinzaglio della Bce e dei poteri forti internazionali o un esecutivo-carnevale con una maggioranza-burla M5S-Pd& sinistra accozzaglia, magari riportando in sella proprio i responsabili della crisi. Un governo siffatto, fra l’altro, potrebbe davvero trasformare l’Italia in una terra di nessuno, una gruviera, consentendo l’assalto dell’immigrazione clandestina, manna per le mafie e per il terrorismo internazionale.

E l’alternativa del voto anticipato? Al di là del più che probabile “No” del Colle, le elezioni Europee di maggio – fra quattro mesi – sono l’occasione per gli italiani per esprimersi liberamente alle urne, bocciando e promuovendo i partiti sulla base dei fatti, cartina del tornasole dell’aria che tira. Non è vero che tutto va bene e non è vero che il governo, mancando l’alternativa, può vivere di rendita. Fatto sta, che dopo sei mesi non facili, i due partiti di governo contano su un sostegno di oltre il 55% degli elettori, un traguardo oggi impossibile per qualsiasi altra maggioranza. Tutto il resto è, almeno per ora, bolle di sapone.