Politica
Il trasformismo di Letizia Brichetto detta Moratti, un trentennale fallimento
Dall’insipienza come presidente Rai dal 1994 al 96, la si ricorda solo per alcune lottizzazioni, a Ministro dell’Istruzione per 5 anni
Il trasformismo di Letizia Moratti: un'esperienza fallimentare
Il trasformismo come significato politico lo si incontra nello scontro tra Montagnardi e Girondini nell’Assemblea parlamentare scaturita dalla Rivoluzione francese. In Italia trova cittadinanza nel gergo politico a partire dal 1882 quando il governo di Agostino Depretis si adoperò per allargare la maggioranza parlamentare con l’ingresso di rappresentanti della Destra.
Il 24 marzo del 1900 Gabriele D’Annunzio attraversava l’emiciclo di Montecitorio abbandonando i banchi della Destra Storica, nelle cui liste era stato eletto nel 1887, al grido di là i morti vado verso la vita, per poi sedere tra quelli dell’Estrema Sinistra. Trasformismo? No! Un moto di ribellione, verso la politica parlamentare della Destra, di un uomo che sarà interventista, futurista, legionario a capo dell’impresa di Fiume, promulgatore della Carta del Carnaro, fascista e poi no.
Insomma, se il Vate costruisce la sua vita, secondo la sua ben precisa visione del mondo, il trasformismo di Depretis e il Connubio di Cavour trovano invece spessore e finalità politiche nella necessità di modernizzare il Paese. Possiamo trarre equivalenti considerazioni dal prosieguo storico? Certamente No! Il giolittismo si mosse tra arditi tatticismi e diffuse clientele, tralasciando il ventennio fascista e le prime undici legislature repubblicane, dal 1994, cioè dall’inizio di quella che maldestramente viene definita seconda repubblica, si è avuto un incremento esponenziale della migrazione parlamentare; nell’appena conclusa XVIII legislatura sono stati 306 i cambi di casacca, quasi 1/3 dell’intero corpo assembleare ( a fronte dei 39 e 40, solo alla Camera, nella X e XI legislatura divenuti subito 124 nella XII 1994-96).
Il trasformismo parlamentare si era trasformato da ragionamenti politici, quasi sempre di gruppo, utili a raggiungere obiettivi, disegni e strategie politiche, a scelte men che meno strategiche funzionali per obiettivi e disegni privati. Il potere per il potere? Ancora una volta NO! Siamo solo al particolare per il particolare.
Una trasgressione: una storiella raccontata dal mio professore di sociologia per introdurre una lezione sul potere. Un allevatore aveva caricato su un furgone scoperto una cinquantina di galline e un gallo. Fermo ad un semaforo si accorge che le galline erano ridotte ad un esiguo numero, si arresta e corre al retro del furgone in tempo per udire che il gallo, pretendendo una prestazione sessuale dalle ultime galline, ripeteva “Me la dai? No! e allora scendi dal furgone”. Un privato interesse che riduce un potere a un non potere. La storiella ricorda tanto “Mi assicuri che oltre ad essere Ministro sarò coordinatore del partito?” NO! “Allora, in un anelito di libertà, me ne vado”. “Mi si presenta candidata alla Presidenza della Regione?” NO! “Allora cambio partito e schieramento”.
Naturalmente, a differenza delle galline, i nostri politici non trovano la solitudine, anzi trovano rispetto e condivisione al fine di poter presentare l’arrivo dei nuovi amici come inevitabile e naturale, trofei da innalzare, alla luce di una ideale concordanza, chissà perché, per decenni non espressa.
Quanta lontananza con il trasformismo storico, quanta distanza da Cavour, Giolitti e D’Annunzio. Altro che la nobiltà della politica, siamo alla salvaguardia del tornaconto, siamo al gattopardismo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”; altro che interesse nazionale: per non compromettere i vecchi privilegi occorre mostrarsi come nuovi e immacolati.
Ecco il trasformismo contemporaneo, quello dell’illusoria seconda repubblica, praticato e consumato in tutti gli schieramenti senza tema di sconfessione o vergogna, di perdita di dignità ed onore. Da manuale, l’operazione apolitica in fine legislatura condotta dal fu on. Di Maio, da manuale per furbizia, apolitica per contenuti e finalità.
All’apparenza e momentaneamente più riuscita la migrazione delle due ex ministre di Forza Italia che, ancora una volta, dimostra l’incapacità berlusconiana nella selezione della propria dirigenza, più volte sottolineata da Società Libera in questi anni. Da manuale di politologia, per come si costruisce e si alimenta una presenza politica senza essere politica, di un incolore ma attento e navigato personaggio del jet set milanese.
Parliamo della signora Letizia Brichetto detta Moratti, un trentennale fallimento politico, inteso come contenuto nobile del termine, dovuto ancora una volta all’inadeguatezza berlusconiana nella composizione di una classe politica. Dall’insipienza come presidente Rai dal 1994 al 96, la si ricorda solo per alcune lottizzazioni, a Ministro dell’Istruzione per 5 anni dove ha ingolfato la scuola di burocrazia e oscurato lo studio della geografia.
Dal 2006 al 2011 Sindaco di Milano, nel 2009 scelse Giuseppe Sala come direttore generale del Comune, il futuro sindaco compagno, trasformismo? NO! Appetenza. Una sindacatura punteggiata da inchieste giudiziarie, tra l’altro, condannata dalla Corte dei Conti a risarcire lo stesso Comune. Del tutto sbiadito il suo quinquennio che non ebbe seguito perché sconfitta da Giuliano Pisapia, circostanza in cui non fu supportata neppure da frange liberali. Superfluo continuare, utile solo a rafforzare l’apolitica immagine, secondi i nostri canoni, di un personaggio che per tre decenni, tanto ha avuto dalla sua parte politica, ricambiandola con contenuti del tutto inesplorati. Super valutata dal duo Gianni e Pinotto che l’accolgono nella loro formazione, dall’ensemble meneghino, un altro miracolato dalla politica Mario Monti ha dichiarato che dovunque andata la Moratti si è distinta(sic).
Non tralasciando l’informazione che non informa, che le ha attribuito potenzialità per spaccare la destra e la sinistra, ago della bilancia delle prossime regionali. No signori, la Margaret Thatcher della Val Padana spacca solo gli sprovveduti ingenui del Pd pronti a cadere nella rete di Gianni e Pinotto tessuta con l’illusione che la somma dei loro voti, della sinistra, della frattura della destra, aggiunta alla robustezza elettorale della candidata, sperimentata solo una volta, merito della capacità berlusconiana, e da un’inesistente appeal verso la società civile, assicureranno la loro esplosione elettorale.
Altro che società civile, sarà proprio la saggezza del Popolo Minuto che contribuirà al tramonto del sogno, il buon senso, l’idem sentire che lontano dal politichese, ha compreso che non si barattano tre decenni di appartenenza con il diniego di una poltrona.
Non siamo sul terreno della politica e neppure su quello del trasformismo, siamo alla capitalizzazione di una rendita e, purtroppo, ad un ulteriore quinquennio di sonnolenza dell’istituzione regionale. Intanto la transumanza morattiana attraversando il cortile di palazzo Lombardia avrà sussurrato: di là gli ingrati, vado verso il mio futur ancor radioso.
*Direttore Società Libera