Politica

Letta... rieccolo, se ne va di nuovo: docente a Madrid, Enrico lascia il Parlamento

di Antonio Mastrapasqua

Il Partito non è stato alla sua altezza. Il Parlamento non è stato alla sua altezza, il Paese intero (e la sua accademia: insegna solo all’estero?) non sembra proprio alla sua altezza. E quindi lui lascia e se ne va

Letta... rieccolo, se ne va di nuovo: docente a Madrid, Enrico lascia il Parlamento

Per Amintore Fanfani l’inarrivabile Indro Montanelli coniò il soprannome di “Rieccolo”. Ci vorrebbe un altro Montanelli per trovare l’epiteto più giusto per Enrico Letta, che invece di tornare con nuovi incarichi politici, periodicamente lascia, si dimette, si allontana. Con stizza o alterigia.

Toscani entrambi, premesso che nulla di paragonabile c’è fra la statura di Fanfani e quella di Letta (Enrico), non solo per una questione di centimetri, a tutto vantaggio del secondo: sul segno politico impresso all’Italia e su quello accademico, impresso alla ricerca storica, la proporzione inevitabilmente si inverte, a favore dell’aretino (Pieve Santo Stefano) e a sfavore del pisano (senza dover rincarare la dose con il detto toscano: “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”).

L’ex segretario del Pd Enrico Letta torna in cattedra e lascia (di nuovo) il Parlamento. L’annuncio è arrivato il primo ottobre: il 20 novembre sarà nominato decano della IE School of Politics, Economics and Global Affairs, la scuola di alta specializzazione dell’Università IE (Istitudo de Impresa) di Madrid.

La prima volta fu nel 2015. Dopo essere atterrato a Palazzo Chigi nel 2013 – sull’onda delle elezioni senza vincitore, e per il decisivo intervento dello “zio Gianni” presso l’allora Presidente Napolitano – Letta credette forse che il Paese non avesse fatto altro che accorgersi, finalmente, del suo valore. Aveva già sollecitato Mario Monti, un paio d’anni prima, con un curioso “pizzino”, offrendosi come ambito trofeo: "Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall'esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente”. Mario (Monti) lo lasciò in panchina. Un ego basta e avanza per la guida di un Governo. Dopo aver ricevuto per anni ricchi finanziamenti per le sue associazioni culturali, aspiranti think tank, diventò il moralizzatore del finanziamento pubblico ai partiti. Non solo. Chiese la testa di Josefa Idem, sua ministra per le pari opportunità, colpevole (in realtà forse fu colpa del marito, vicenda confusa e assai marginale) per non aver pagato l’Ici della sua palestra. E la mia, invocando un caso di conflitto di interessi che nei dieci anni successivi si sgonfiò, come le inchieste giudiziarie di cui sono stato oggetto.

Poi fu Matteo Renzi a chiedere la sua, di testa. La prese come un affronto, unico fra i venti presidenti del consiglio che si erano succeduti prima di lui (nel dopoguerra), a manifestare sdegno e offesa di fronte al suo successore (indimenticabile la scena imbarazzante con la campanella che passava di mano da Letta a Renzi). Uscendo da Palazzo Chigi promise di lasciare anche l’Italia. Non per l’Africa, come annunciò Veltroni (che tuttavia restò in Italia), ma per la più comoda Francia. E per gli ancora più comodi posti in consigli di amministrazioni di aziende private e di istituzioni pubbliche. E poi tornò. Rieccolo? Nel 2021 accetta l’incoronazione come segretario del Pd, per preparare il partito alla battaglia elettorale del 2022. Perse sonoramente, anche se riesce a entrare in Parlamento. Ora, dopo due anni sullo scranno di Montecitorio, sembra di nuovo sdegnato. Le sue ali lo portano a volare più alto. A esempio firmando un Rapporto sul futuro del mercato interno dell’Unione europea, alla vigilia del rinnovo dell’Europarlamento.

Il Partito non è stato alla sua altezza. Il Parlamento non è stato alla sua altezza, il Paese intero (e la sua accademia: insegna solo all’estero?) non sembra proprio alla sua altezza. E quindi lui lascia e se ne va. Tessitore di relazioni, più che produttore di soluzioni politiche: figlio naturale di quel modo di intendere la politica che è stata definita di recente “amichettismo” (vanta relazioni vaste e profonde: un vero lobbysta della politica, più che un politico); nipote di uno zio capacissimo e influente (che forse è stato per lui un imbarazzo, un macigno insopportabile, come accade ai figli ingombrati da padri troppo pesanti) al punto di farsi affibbiare il soprannome di “sotti-Letta”.

Ci mancherà? Forse. Fino al prossimo ritorno.