Politica
Mario Segni ad Affari: "Golpe di mio padre? Più grande fake news della storia repubblicana"
Mario Segni scrive al direttore di Affaritaliani.it, Angelo Maria Perrino sulla crisi del 1964 e sul piano Solo. ECCO LA LETTERA
Egregio dottor Perrino,
mi permetto di inviarle un articolo in risposta a quello scritto da Pietro Mancini.
Mi consideri a sua disposizione se vorrete approfondire l'argomento.
Cordialmente
Mario Segni
LA LETTERA DI MARIO SEGNI AD AFFARITALIANI.IT
"Affari italiani è stata la prima rivista on line a commentare le mie affermazioni sulla crisi del 1964 e sul piano Solo. E’ positivo, perché su questi temi delicati è necessario un ampio dibattito. Dopo tre anni di studio sono arrivato alla conclusione che la storiografia e la pubblicistica dominante hanno raccontato una storia completamente infondata, quella di un piano eversivo diretto a distruggere o depotenziare il centro sinistra, piano organizzato dall’Arma dei Carabinieri con la ispirazione e copertura del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Se in questo non vi è niente di vero, come credo di avere dimostrato, bisogna dire che tutta la operazione, partita dallo scoop su l’Espresso di Scalfari e Jannuzzi, è stata la più grande fake news della storia repubblicana. Ma proprio per il peso di questi problemi un vasto dibattito è più che mai necessario.
Vi è un argomento preliminare che, se non spiegato, smonta la intera costruzione. Due anni dopo la crisi del famoso piano Solo, il generale De Lorenzo viene nominato capo di Stato maggiore dell’Esercito. Presidente della Repubblica è Saragat, Presidente del Consiglio Moro, vice Nenni. Sono le stesse persone contro le quali, secondo il racconto scalfariano, si sarebbero sviluppate le azioni e le minacce di De Lorenzo. Ma come è pensabile che questi tre statisti abbiano posto a capo dell’esercito colui che due anni prima li aveva costretti con la minaccia a rovesciare il programma di governo, o addirittura aveva organizzato en vero e proprio golpe? E’ sostenibile tutto questo? Non è un insulto a queste figure? In decenni di dibattito mai una risposta è venuta a questa domanda.
I protagonisti di allora non ci sono più, ma hanno smentito in maniera drastica il racconto del complotto. Alcuni sono stati dimenticati; per altri la forza della campagna è stata tale da far credere che abbiano detto cose diverse. Saragat immediatamente dopo lo scoop “respinse con disgusto questa vergognosa speculazione”. Nenni è stato ricordato come colui che avrebbe scoperto e denunciato la minaccia armata. Ma in tutte le sue numerose dichiarazioni (L’Avanti, il diario, la testimonianza in Tribunale, la audizione alla commissione parlamentare di inchiesta e alla Commissione stragi) negò recisamente l’ipotesi di complotto (“A mia conoscenza non ci furono minacce di colpo di Stato e non si fece in nessun momento pesare su di noi una tale minaccia. E’ la pura e semplice verità”).
Vi sono poi due sentenze del Tribunale di Roma che negano la storia del golpe. La prima conclude drasticamente che “sotto il profilo della verità reale tutte le tesi formulate dal Jannuzzi e dallo Scalfari, nel loro giornale e al dibattimento, si sono dimostrate irrimediabilmente false”) e condanna i due giornalisti per diffamazione. La seconda invece afferma la irregolarità del piano Solo in quanto realizzato senza il preventivo accordo col ministro, e assolve i due imputati. Ma di fronte alla domanda principale, se vi sia stato meno golpe o piano eversivo, giunge alla stessa conclusione. Il piano si presenta diretto “alla tutela dell’ordine pubblico in caso di gravi perturbamenti”, e perciò dice in conclusione, di “non avere prove per affermare che avesse uno scopo diverso”.
Nel suo intervento su Repubblica il professor Gotor ricorda un brano del Memoriale in cui Moro dice che “il tentativo di colpo di Stato ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare”. Avrebbe dovuto ricordare altri brani del memoriale di significato opposto, come quello in cui Moro definisce “il presidente Segni uomo di scrupolo”, afferma che “come dimostrò la commissione parlamentare niente di operativo fu fatto sul piano militare”, ricorda De Lorenzo come “colui che collaborò in modo attivo con me per far rientrare nei binari della normalità la incandescente situazione del governo Tambroni”. Ma soprattutto avrebbe dovuto ricordare la eccezionalità e la drammaticità del memoriale, scritto da un uomo prigioniero sotto il ricatto dei rapitori. Avrebbe dovuto far sapere che una recente commissione di archivisti e di storici, di cui lo steso Gotor faceva parte, ha svolto gli studi più approfonditi sul memoriale ed ha accertato che le frasi da lui ricordate sono state scritte negli ultimi giorni della prigionia, dopo che Moro aveva saputo della condanna a morte, e viveva quindi in uno spaventoso stato di angoscia. E’ assai più saggio concludere, come scrivo nel libro, che ciò che è stato scritto in maniera così drammatica non può essere assunto a prova, né in un senso né nell’altro.
Resta da capire come e perchè una interpretazione così infondata e un cumulo di testimonianze così palesemente false sia rimasto intangibile per tanto tempo. Perfette sono le argomentazioni di Agostino Giovagnoli, nella illustrazione al libro, quando rileva che la crisi del centro sinistra era già avvenuta prima che si aprisse la crisi di governo, per la difficoltà socialista ad adattare le riforme ala realtà italiana, e che a quel punto si rivela un” problema della sinistra italiana durante la prima Repubblica, la difficoltà di fare i conti con i problemi reali, compresi i propri limiti e i propri errori”. A quel punto è molto più facile “coltivare teorie di doppio Stato che diventano teorie di storie parallele”. Per metà della politica italiana la narrazione colpevolista diventa quindi vangelo ufficiale, con danni per la stessa sinistra che ritarda la propria maturazione. Tutto questo ormai è lontano nel tempo, ed è forse arrivato il momento di ricordare agli italiani che la loro storia è stata molto più alta e più nobile di quanto per anni si sia predicato"
L'ARTICOLO DI PIETRO MANCINI
Segni jr difende il padre: non fu "golpe", ma pesante interferenza politica...
Mariotto Segni, 82 anni, ex deputato della DC, figlio di Antonio-che fu Capo dello Stato, dal maggio del 1962 al dicembre del 1964-in un libro, edito da Rubbettino, ha definito “la più grande fake-news della storia della Repubblica” le narrazioni sugli eventi dell’estate del 1964, seguiti alla crisi del primo governo di centrosinistra. E, difendendo suo padre, ha bocciato storici, politici e giornalisti, che hanno vergato articoli e libri sul presunto golpe del generale Giovanni De Lorenzo, ex Capo del SIFAR.
Ma, secondo Elena Cavalieri, autrice del saggio “I piani di liquidazione del centrosinistra”, il punto non è negare la pericolosità del “piano Solo” : deportazione in Sardegna dei dirigenti dei partiti di sinistra, dei sindacati e di una lunga lista di militanti social-comunisti e intellettuali, tra cui Pontecorvo e Pasolini.
Quanto mettere in evidenza i retroscena della crisi. La Cavalieri dà credito all’ipotesi che i contatti tra Segni e i vertici militari, in primis il gen.De Lorenzo, qualche anno dopo eletto deputato del MSI, servissero per prepararsi a contenere, con estrema durezza, reazioni di piazza. Non a organizzare un golpe, come scrisse Lino Jannuzzi, su “L’Espresso”, diretto da Eugenio Scalfari. In primo grado, i giornalisti, querelati da De Lorenzo per diffamazione, vennero condannati, ma assolti in appello.