Politica

Meloni, successi in politica estera (Fitto, Trump, Musk...) e inciampi in Italia. Con l'incubo referendum

Il bilancio di due anni abbondanti da presidente del Consiglio

Di Alberto Maggi

Meloni ha ben presente quanto i referendum siano costati cari a suoi predecessori e non vuole ripetere l’errore, per cui intende rilanciare l’azione di governo su altri temi nel 2025. Sicurezza, tasse e burocrazia al primo posto


Sono 47 i Paesi visitati da Giorgia Meloni da quando è al governo. E se ogni tanto, anche nella maggioranza, qualcuno storce il naso rimarcando che dovrebbe occuparsi di più delle faccende domestiche, lei replica convinta che “non è politica estera ma politica interna”. Di certo Meloni esce rafforzata da questo tour de force internazionale. 

Ha appena portato a casa la vice-presidenza esecutiva della Commissione Ue per Raffaele Fitto, che si occuperà di un portafoglio da 1.000 miliardi euro. Ha inaugurato all’insegna di una grande cordialità i rapporti con Donald Trump (anche grazie ai buoni auspici di Elon Musk) e questo sarà utile - si spera a Palazzo Chigi - sia per evitare dazi pesanti contro i prodotti italiani, sia per provare a chiudere la guerra russo-ucraina. 

La testata progressista più in voga a Bruxelles, Politico.eu, l’ha appena incoronata come il politico più influente d’Europa. E ancora… il meno 80% di sbarchi dalla Tunisia, certificato da Ursula von der Leyen nella sua lettera ai leader europei, è un successo di Meloni sia sul piano europeo che su quello interno. Così come l’insistenza di Meloni anche in Ue sul “modello Albania” denota la volontà di non mollare su un pilastro fondamentale della lotta ai trafficanti di uomini nonostante le “sentenze ideologiche” delle ultime settimane. 

E così anche l’azione in corso per rinviare il bando Ue al 2035 dei motori diesel e benzina si sposa con la recente chiusura del nuovo accordo con Stellantis, nel quale il governo ha dosato bastone e carota per ottenere l’impegno a nuovi investimenti del gruppo in Italia e la salvaguardia dei posti di lavoro. 

Insomma, Meloni sa che quando i soldi scarseggiano e le soluzioni nazionali si complicano, oggi può chiedere una copertura europea con una ragionevole probabilità di riceverla. Eppure ci sono partite domestiche tutt’altro che semplici. Il governo è reduce da una manovra finanziaria non semplice, con qualche tensione di troppo tra alleati; all’orizzonte si profilano i referendum costituzionali su giustizia e premierato e, ancor prima, quello sull’autonomia. 

Oltre alle liti tra Lega e Forza Italia, vedi il caso del canone Rai con gli azzurri che hanno mandato sotto il governo, ci sono stati altri scivoloni inattesi per il governo e per la presidente del Consiglio. Prima fra tutti le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che Meloni aveva voluto fortemente in quel dicastero, per la nota bufera legata a Maria Rosaria Boccia. E poi non si può non citare tra gli episodi negativi per la leader di Fratelli d'Italia la separazione con il compagno e padre di sua figlia Andrea Giambruno a causa di quei fuori onda piccanti usciti su Striscia la Notizia che hanno creato non poche tensioni e sospetti con Mediaset e con i figli di Silvio Berlusconi. Senza dimenticare la spada di Damocle (giudiziaria) sulla testa del ministro del Turismo Daniela Santanchè.

Tornando alla politica, Meloni ha ben presente quanto i referendum siano costati cari a suoi predecessori e non vuole ripetere l’errore, per cui intende rilanciare l’azione di governo su altri temi nel 2025. Sicurezza, tasse e burocrazia al primo posto. Le riforme andranno avanti in Parlamento, dalla sistemazione dell'autonomia regionale differenziata dopo la Consulta al premierato fino alla giustizia. Ma il focus sarà soprattutto su altri temi interni e ovviamente sui rapporti internazionali. D'altronde, oggi è il politico più influente d’Europa.