Politica
Meloni (cautamente) filo Trump. Dopo il successo in Liguria, la premier blinda Fitto in Europa e... Inside
Da Orbán in Georgia al Venezuela e al viaggio in Libia
La sensazione di fondo è che nessuno tra i leader della sinistra europea possa spingere il nervosismo per la Vicepresidenza esecutiva della Commissione affidata a Fitto fino alle estreme conseguenze, rischiando di impallinare Ursula in aula a fine novembre
Giorgia Meloni si gode il successo al fotofinish di Marco Bucci nelle elezioni regionali liguri. I suoi uomini di fiducia, mentre evidenziano le crepe nel campo largo, valorizzano all’unisono il ruolo fondamentale che la premier ha svolto personalmente nel convincere il sindaco di Genova ad accettare di candidarsi. Una scelta che ha consentito di ribaltare il destino di una corsa che sembrava ormai segnata dopo le vicende giudiziarie di Giovanni Toti e che fa di Meloni la vincitrice di questa partita, nonostante il risultato non eclatante di FdI, attribuito dai meloniani al ruolo delle liste civiche.
Meloni può così tornare ad occuparsi del fronte interno - tra dossieraggi e legge di bilancio - e di quello internazionale. Ieri ha ricevuto Edmundo Gonzalez, leader dell’opposizione venezuelana che rivendica la vittoria elettorale dello scorso luglio negata dal regime di Maduro e fresco vincitore del premio Sakharov del Parlamento europeo, proprio su iniziativa dei Conservatori di Meloni insieme ai popolari di Weber. Stamattina è poi volata in Libia per rinsaldare gli accordi e continuare a presidiare il tema migratorio: Meloni ha chiaro che il suo modello - incluso l’accordo con l’Albania - reggerà in Europa finché continueranno a diminuire gli arrivi di migranti irregolari dal Mediterraneo centrale.
Nel frattempo Meloni segue con attenzione il dossier Georgia, sul quale l’attivismo dello scomodo amico Orbán - sempre più in urto con Bruxelles - rischia di crearle qualche grattacapo. Ma le attenzioni maggiori sono rivolte a due partite che la leader di FdI ritiene fondamentali: le elezioni USA della prossima settimana e l’audizione di Raffaele Fitto prevista per il 12 novembre al Parlamento europeo. Sul lato americano, Meloni mantiene una cautela d’obbligo. Storia e collocazione politica la portano a vedere di buon occhio una probabile vittoria di Trump. Del resto sa che, nonostante gli ottimi rapporti intrattenuti con Biden, una vittoria di Kamala Harris verrebbe usata contro di lei e contro le destre europee.
Di contro la real politik, con uno sguardo particolare all’Ucraina, la porta a non sottovalutare i rischi di un disimpegno troppo radicale dello stesso tycoon verso Kiev. Ma se sul versante transatlantico per ora la premier si limita ad osservare, su quello europeo è attivissima per fare in modo che la pratica Fitto venga archiviata positivamente. Sono giornate di attesa per l’inizio delle audizioni dei vari commissari, giornate spese in telefonate e contatti sotto traccia a tutti i livelli.
La sensazione di fondo è che nessuno tra i leader della sinistra europea possa spingere il nervosismo per la Vicepresidenza esecutiva della Commissione affidata a Fitto fino alle estreme conseguenze, rischiando di impallinare Ursula in aula a fine novembre e avventurandosi così in situazioni mai vissute finora. Gli osservatori della bolla di Bruxelles sono concordi nel sostenere che le schermaglie continueranno ma che alla fine il pacchetto di nomine verrà confermato. Ed è esattamente quello che Meloni auspica e per cui si sta spendendo alacremente.