Palazzi & potere
25 Marzo: stallo e rilancio del progetto europeo
Su Affaritaliani Palazzi&Potere l'intervento di Ferdinando Nelli Feroci, Presidente Istituto Affari Internazionali
Anche se le circostanze non sono fra le più favorevoli e il quadro complessivo è incerto e instabile, c’è davvero da augurarsi che le celebrazioni del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma siano un’occasione per riaffermare una volontà condivisa di rilanciare il progetto europeo.
Il momento di ricordare i risultati acquisiti
Sarà sicuramente necessario ricordare gli straordinari risultati acquisiti dall’Europa, dai suoi Stati membri e dai cittadini europei, in questi ultimi sessanta anni di storia di un continente, che nella prima metà del Novecento aveva conosciuto tutti i guasti di un nazionalismo esasperato che aveva prodotto guerre devastanti.
Sarà necessario ricordare che, grazie all’intuizione felice di un ristretto gruppo di politici illuminati (e grazie anche a un contesto politico ed economico sicuramente più favorevole di quello attuale), l’Europa aveva saputo trasformarsi in un’area di pace, di progresso economico e di diffusione del welfare, di garanzia dei diritti fondamentali e di consolidamento della democrazia.
E sarà necessario che questa narrativa si faccia sentire con autorevolezza e convinzione, non come esercizio retorico, ma proprio perché in questa congiuntura si ha l’impressione diffusa che nelle nostre opinioni pubbliche si tenda, con troppa facilità e superficialità, a dimenticare quali straordinari vantaggi abbia comportato per i cittadini europei il progetto comune europeo.
E proprio perché con altrettanta leggerezza si invoca da più parti un improbabile ritorno al prevalente ruolo degli Stati nazionali, quale unica fonte di legittimità democratica, in un contesto in cui gli Stati nazionali non sono più in grado di garantire risposte adeguate alla sfide di un mondo sempre più globalizzato.
L’occasione per tracciare un percorso
Oltre però a ricordare il passato e a celebrare i risultati dei primi sessanta anni di vita di un progetto unico di integrazione a livello regionale, occorrerà che le celebrazioni del 25 Marzo siano anche un’occasione per tracciare un percorso che consenta all’Unione europea, Ue di ritrovare vitalità e dinamismo e soprattutto di recuperare quel consenso delle opinioni nazionali che oggi sembra in preoccupante calo. E questa è sicuramente la parte più difficile da realizzare.
Esiste infatti una analisi sufficientemente condivisa delle debolezze della costruzione europea e dei fattori di crisi che caratterizzano la fase attuale del processo di integrazione in Europa: gli effetti della crisi economica e una ripresa ancora insufficiente dopo la grave depressione del 2008/2009; un senso diffuso di insicurezza; la minaccia del terrorismo di matrice islamica; flussi migratori destinati a diventare un fenomeno strutturale; la riduzione del peso specifico dell’Europa misurato sia in termini demografici sia in termini di Pil prodotto; un contesto internazionale instabile e preoccupante con minacce dirette all’Europa sia da est che da sud; un’Amministrazione americana indifferente se non addirittura ostile al progetto europeo; la diffusione di forze politiche nazionaliste, sovraniste e sostanzialmente anti-europee.
D’accordo sull’analisi, divisi sull’azione
Ma manca ancora un progetto altrettanto condiviso di rilancio della costruzione europea. E ancora fin troppo evidenti appaiono le divisioni fra gli Stati membri sulla direzione di marcia da intraprendere per restituire fiducia nell’Ue e nelle sue istituzioni.
Una situazione che ha di fatto costretto troppo spesso il Consiglio europeo a limitarsi a faticosi compromessi ispirati dalla necessità di attestarsi sul minimo comune denominatore (sul governo dell’economia, sulle migrazioni, sulla sicurezza, sulla difesa, ecc,). Una situazione di incertezza che ha indotto la Commissione (con il recente Libro Bianco) a limitarsi a presentare scenari alternativi piuttosto che prospettare idee e progetti concreti di rilancio.
Per questi motivi l’Istituto Affari Internazionali ha presentato nei giorni scorsi, in occasione di un convegno internazionale svoltosi al Ministero degli Esteri, un policy paper che riprende e approfondisce il tema delle integrazioni differenziate. La proposta dello IAI parte dal presupposto che in queste ultime settimane l’argomento è stato evocato a più riprese, non solo in articoli e editoriali di specialisti della materia, ma anche da autorevoli policy makers, è stato discusso in incontri al più alto livello politico, ed è entrato ormai nel dibattito politico sul futuro dell’Europa.
E muove dalla constatazione che l’Europa a più velocità è da anni una realtà, dal riconoscimento che la Brexit sollecita una riflessione approfondita su come procedere in un contesto di differenti sensibilità nazionali e dal convincimento che la chiave per avanzare nel processo di integrazione sta nel riconoscimento di queste diversità, anche se nel rispetto dell’unitarietà del progetto comune.
La proposta dello IAI e lo stimolo al dibattito
Il nostro documento si propone di stimolare un dibattito sul tema delle integrazioni differenziate, ma soprattutto offrire ai decisori politici alcuni suggerimenti molto concreti e operativi su come tradurre questo principio in decisioni e misure concrete in particolare in tre aree: il governo dell’economia, la difesa comune, le politiche in materia di libertà giustizia e sicurezza.
Nessuna pretesa di avere detto l’ultima parola sul tema (fin troppo dibattuto) dell’Europa a più velocità; e piena consapevolezza delle complessità da affrontare in particolare per quanto attiene al ruolo delle istituzioni comuni, alla necessità di evitare di frammentare più del necessario il quadro comune e rimettere in gioco la solidarietà fra tutti gli Stati membri, alla delicata questione delle legittimità democratica dei processi decisionali.
Ma un tentativo di indicare una strada intermedia, e soprattutto praticabile nell’attuale contesto politico, che consenta di superare lo stallo tra la conservazione dello status quo, o il consueto ma ormai insufficiente “muddling through”, e i più ambiziosi, ma poco realistici, progetti di riforma istituzionale, che necessiterebbero inevitabilmente una riforma dei Trattati per la quale oggi non sussistono le condizioni politiche.
In un anno di importanti scadenze elettorali non possiamo aspettarci miracoli dalla giornata del 25 Marzo. Sarebbe già un risultato importante se i 27 si mettessero d’accordo sul riconoscimento degli straordinari meriti del progetto di integrazione realizzato in Europa (dando così un messaggio forte e chiaro a quelle forze politiche che oggi attribuiscono all’Ue tutte le responsabilità per tutto quello che non funziona nei rispettivi Paesi); se riuscissero a condividere l’analisi delle cause e origini delle crisi di questa congiuntura; e soprattutto se riuscissero concordare un percorso per restituire dinamismo e sostegno popolare alla costruzione europea.
Magari riconoscendo anche la possibilità e il diritto di procedere più velocemente nella realizzazione di alcune politiche comuni a quei Paesi che lo vogliano e ne abbiano le capacità.
Ferdinando Nelli Feroci, Presidente Istituto Affari Internazionali