Palazzi & potere
Cultura a pezzi; la politica, Franceschini e il Museo di Capua
Problemi causati anche dal riordino delle province
E' un bollettino di guerra quello che si legge ogni giorno analizzando i difficili rapporti tra Province (attive con tanto di cariche politiche) ed enti collegati soprattutto in ambito cultural/museale.
I musei del Sud Italia, che dipendono molto spesso dalle province, infatti, non sanno più a chi chiedere risorse per l'ordinaria e la straordinaria amministrazione. E' il caso del museo campano di Capua, noto in tutto il mondo per l'unica collezione di Matres Matutae (le 150 statue tufacee ex voto dedicate al tema della fertilità tipiche dell'antichità romana), che rischia di chiudere o peggio ancora di cadere nel dissesto o nel dimenticatoio.
Nato nel 2012 per raccontare le bellezze del territorio, il museo campano di Capua poteva inizialmente contare su 18 dipendenti. Oggi sono appena quattro e da pochi giorni, secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, la provincia di Caserta ha disdettato il contratto con la società che si occupava delle pulizie dello stabile.
Dai prossimi giorni pertanto saranno i quattro "highlander" del museo campano a staccare i biglietti con la mano e a ramazzare per terra nei tempi morti. La politica locale e i media stanno spingendo per accendere i riflettori su questo caso di abbandono culturale, ma, per il momento, il ministro della Cultura, Dario Franceschini, non ha ancora trovato una soluzione al problema. Il timore di molti addetti ai lavori è che in caso di chiusura del museo, la collezione delle Madri, punto di forza del territorio di Capua, possa finire in un altro sito museale, sradicando questa collezione dalla sua terra e dalle sue radici identitarie.
Timore abbastanza fondato se si guarda a quanto potrebbe succedere al museo archeologico di Napoli, dove le opere non esposte potrebbero finire a Mestre, nonostante che facciano parte della collezione Farnese, che Carlo III donò nel 1385 alla popolazione di Napoli. Una fine ingloriosa quando basterebbe, invece, utilizzare gli enormi spazi abbandonati del Real albergo dei Poveri sempre a Napoli (come più volte proposto dal Real Circolo partenopeo).