Difesa europea: l’agenda di Parigi, Berlino e Roma
Il dibattito sulla difesa comune e gli interessi nazionali in gioco
L’analisi di Alessandro Marrone, responsabile di ricerca, per il progetto IAI #Eu60, in vista dell’anniversario dei Trattati di Roma.
La difesa europea è un po’ come la bellezza: sta in parte negli occhi di chi guarda. Ovvero, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace. E a Parigi, Berlino e Roma piacciono aspetti diversi di una possibile Europa della difesa/difesa europea. Lo si legge in un recente studio IAI per il Parlamento italiano.
Parigi, à la guerre comme à la guerre - La Francia apprezza della difesa europea soprattutto l’aspetto operativo militare, cioè la conseguente maggiore capacità e disponibilità degli alleati europei nel partecipare a operazioni di gestione delle crisi, antiterrorismo o stabilizzazione, nel Sahel e nei teatri africani/mediorientali più importanti per Parigi.
La Francia ha significativamente aumentato il proprio impegno militare in patria e all’estero in risposta agli attentati subiti, rafforzando una presenza operativa già robusta. Nel fare ciò, ha chiesto agli altri Paesi europei di seguirla, spesso dopo avere definito su base nazionale la strategia della missione. L’appoggio ricevuto è variato a seconda del partner, con un forte contributo tedesco in Mali e altrove, e una certa freddezza italiana causata principalmente dall’azione francese in Libia dal 2011 in poi.
Per la Francia, oggi la dimensione europea continua ad essere il completamento delle capacità di sicurezza e difesa nazionali, e al contempo la garanzia di un’autonomia strategica dell’Ue rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti: l’Europa della difesa è vista quindi come una collaborazione intergovernativa tra un nucleo di Stati sovrani, in cui sia le capacità militari sia le volontà politico-strategiche siano forti e allineate.
Berlino: regole, efficienza, inclusività - Varcando oggi il Reno, l’approccio alla difesa europea cambia. Il Libro Bianco del 2016 ha segnato una maggiore e più esplicita assunzione di responsabilità da parte di Berlino nel settore della difesa, già dimostrata sul campo come partner affidabile delle missioni internazionali (650 truppe solo in Mali, e poi Sudan, Corno d’Africa, Libano, Afghanistan) e rispondente a una forte industria nazionale di aerospazio, sicurezza e difesa.
Restano tuttavia forti i limiti legali, istituzionali, politici e culturali all’impiego delle forze armate all’estero ed in patria, limiti che pongono la Germania quasi all’opposto della Francia.
Nel guardare alla difesa europea, forte dei suoi 37 miliardi di euro investiti nel 2017 nella difesa (a fronte dei 32,7 francesi), Berlino apprezza l’integrazione Ue, e non solo la cooperazione intergovernativa, in linea con un approccio attento agli aspetti istituzionali e legali.
A livello politico, il nuovo impegno tedesco verso forme di integrazione differenziata quali la Permanent Structured Cooperation (Pesco), più vicine all’idea francese di un nocciolo duro, viene tuttora combinato con la volontà di tenere la Pesco il più possibile aperta ed inclusiva verso altri Stati membri.
Roma: l’occasione da non perdere - Roma si colloca in una posizione mediana tra Parigi e Berlino rispetto all’Europa della difesa. Da un lato, le forze armate italiane hanno svolto missioni ben più combat di quelle tedesche negli ultimi 30 anni e potrebbero ben lavorare a fianco di quelle francesi se Francia e Italia si parlassero seriamente a livello strategico sul “che fare” con le crisi a Sud del Mediterraneo, a partire dalla Libia. Dall’altro, Roma condivide con Berlino l’apprezzamento per una forte componente istituzionale della difesa europea, non solo per motivi ideali a favore dell’integrazione Ue, ma perché ciò assicura a una media potenza come l’Italia (che spende nella difesa metà della Germania) di non essere tagliata fuori da un direttorio a due franco-tedesco.
L’attuale dibattito sulla difesa europea, e in particolare il lancio della Pesco, rappresenta un’occasione da non perdere per l’Italia, che ha buone carte politiche, diplomatiche, militari e industriali da giocare di sponda con Francia e Germania.
Il problema è che queste carte dovrebbero essere giocate da un giocatore unico, evitando che presidenza del Consiglio, ministero della Difesa e ministero degli Esteri agiscano in modo scoordinato considerando la difesa europea come solo una questione diplomatica, solo una questione militare, o solo una questione politica. Chi bello vuole apparire, un po’ deve soffrire.
Alessandro Marrone