Difesa: nella squadra europea entrano solo i giocatori più forti
Prendiamo atto con pragmatismo che se non possiamo giocare in serie A, possiamo però vincere la serie B
In vista di ogni campionato si discute spesso su quali giocatori scenderanno in campo. Ve ne sono anche di destinati a non vedersi convocare o, magari, a restare in panchina. In ambedue i casi sarebbe, però, meglio che fossero consapevoli che non basta essere a disposizione, e tanto meno autocandidarsi, per giocare poi la partita. Se, invece, si illudono, la delusione sarà più cocente.
Nella partita della difesa europea, lo sta verificando l’Italia. L’aver partecipato al lungo dibattito preliminare sul rilancio della difesa europea e l’essere stati coinvolti in alcune iniziative lanciate da Francia e Germania ha favorito la speranza, o meglio l’illusione, che avremmo giocato anche noi in serie A.
Ma adesso che è giunto il momento di mettere le carte in tavola, dobbiamo prendere atto che le cose non stanno così e che nella nuova Europa post-Brexit in serie A giocheranno solo Francia e Germania. L’accordo franco-tedesco, siglato a Parigi il 13 luglio, lo ha evidenziato a chiare lettere.
Un accordo ambizioso ad ampio raggio
I due maggiori Paesi europei hanno concordato, oltre ad altri numerosi impegni comuni, anche un ampio elenco di programmi per sviluppare insieme nuovi equipaggiamenti militari. Quasi tutti si sono soffermati sul quarto, relativo ad un velivolo da combattimento per rimpiazzare l’attuale flotta sul lungo termine.
Difficile capire dove andranno a parare: i due Paesi devono sicuramente sostituire i loro cacciabombardieri, Mirage 2000 e Tornado, destinati anche al trasporto di ordigni nucleari, ma questa esigenza non sembra “a lungo termine”; gli altri partner del Tornado, Regno Unito e Italia, stanno già acquisendo come sostituto l’F 35; la Francia sembrava puntare su un velivolo da combattimento a pilotaggio remoto e, dopo avere sviluppato il dimostratore tecnologico Neuron insieme ad altri Paesi, fra cui l’Italia, li aveva scaricati per proseguire con il Regno Unito sulla base dell’accordo franco-inglese di Londra – Lancaster House del 2010; adesso, forse, la Francia potrebbe proseguire con un nuovo partner, la Germania (meno capace tecnologicamente e industrialmente, ma molto più forte finanziariamente) o proseguire in parallelo con un velivolo pilotato.
I primi tre programmi comuni dell’elenco sono: una nuova generazione di sistemi terrestri (a partire da un sistema maggiore di combattimento, cioè un nuovo carro da battaglia); un sistema di pattugliamento marittimo; l’Eurodrone (cioè l’Euromale attualmente in fase di studio insieme a Italia e Spagna). Ve ne sono poi ulteriori tre: una nuova versione dell’elicottero da combattimento franco-tedesco Tiger con un nuovo missile tattico aria-superficie, attività nell’osservazione satellitare, attività nel settore cyber con particolare riferimento alle comunicazioni.
Si prevede, infine, un comune impegno nel campo dell’innovazione tecnologica, con specifico riferimento all’utilizzo dei previsti finanziamenti europei (in primo luogo la Preparatory Action for Defence Research già avviata dalla Commissione europea).
Un’impostazione non improvvisata e una strategia ben scandita
Interessante risulta anche l’impostazione complessiva del documento. Una prima osservazione riguarda la preparazione di questo accordo. Non è una dichiarazione generica, ma dettagliata e deve sicuramente aver richiesto tempo e impegno di non pochi esperti di fiducia dei due capi di Governo. Il tutto è peraltro avvenuto senza che ne sia trapelata la portata, a conferma che da tempo la collaborazione fra i due Paesi è già molto stretta, costante e articolata a più livelli.
Una seconda osservazione è relativa all’ordine, certo non casuale, dei temi affrontati. Si parte dal rafforzamento della difesa europea, con la Pesco e il Fondo europeo di difesa, e si passa a quello del rafforzamento congiunto delle capacità militari attraverso i nuovi programmi proposti. Poi si indica il miglioramento della collaborazione operativa e, infine, l’impegno a garantire la sicurezza e combattere il terrorismo. Fino ad ora l’ordine sarebbe stato probabilmente inverso o quasi, ma sicuramente i programmi di investimento sarebbero stati messi in fondo.
Una terza osservazione riguarda la dichiarata volontà di coordinare l’azione dei due Paesi nei confronti delle iniziative e delle Istituzioni europee: vista la loro forza e il loro peso, la loro influenza diventerà, di conseguenza, determinante. La loro strategia è così schematizzabile:
- realizzare la Pesco per poter procedere verso un’integrazione a cerchi concentrici;
- utilizzare i previsti finanziamenti europei (che sono solo 600 milioni di euro fino al 2020, ma diventeranno 1,5 miliardi all’anno dal 2021);
- sviluppare un ventaglio di nuovi equipaggiamenti militari per fare fronte alle mutate esigenze operative, per fare crescere l’autonomia strategica europea, per rendere più efficiente e competitiva l’industria europea.
Il nuovo approccio vede, quindi, l’Unione come incubatore politico, giuridico ed economico in cui costruire un’Europa della difesa guidata da Francia e Germania. È attorno alla loro integrazione bilaterale che si dovrà catalizzare la disponibilità e l’impegno degli altri Stati membri interessati. La più stretta collaborazione franco-tedesca si spinge anche in un campo fino ad ora considerato un tabù, quello del coordinamento della politica di esportazione in campo militare: un obiettivo molto ambizioso visto l’attivismo francese sul mercato internazionale e la tradizionale prudenza tedesca (legata anche alla limitata capacità industriale).
Il momento delle scelte
In Italia quasi tutti sembrano aver creduto che la favola sarebbe continuata in eterno e che le nostre debolezze strutturali nel campo della difesa non avrebbero contato. Questo ha avuto due conseguenze negative:
- non ci ha spinti a risolverle o, per lo meno, ad avviarle a soluzione;
- ci ha lasciati indifesi di fronte agli avvenimenti che hanno sgretolato le nostre illusioni.
Adesso è necessario definire una linea di azione che cerchi di tutelare i nostri interessi nazionali, senza velleitarismi, ma anche senza vittimismi, consapevoli che in questo caso è davvero il sistema-paese che deve entrare in campo. Di qui la necessità che il presidente del Consiglio coinvolga i ministri interessati per decidere entro tre mesi (prima quindi della legge finanziaria) sulla base di un chiaro programma di azione:
- Stabilire quali sono le capacità tecnologiche e industriali che vogliamo tutelare perché rappresentano le nostre aree di eccellenza a livello europeo ed internazionale (coinvolgendo anche l’industria). Molti lo hanno proposto in passato (e anche recentemente nel Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa), ma questa selezione non è mai stata fatta.
- Confrontare il risultato con le esigenze delle nostre Forze Armate per verificare la sostenibilità in termini di investimenti e programmi.
- Verificare i nostri obiettivi con i programmi franco-tedeschi e, dove possiamo, cercare un accordo. Dove questo non è possibile, cercare altri partner, con la consapevolezza che da soli non andiamo da nessuna parte nel campo dei grandi sistemi e non potremmo candidarci per i finanziamenti europei. Peggio ancora, non possiamo avventurarci in programmi nazionali che competerebbero con programmi finanziati dall’Unione europea.
- Concentrare coerentemente le risorse finanziarie sulle nostre aree di eccellenza per rafforzarle e non continuare a sussidiare settori e imprese che non hanno più prospettive sul mercato internazionale. Bisogna sostenere i più forti, non i più deboli, perché le problematiche sociali vanno affrontate con altri strumenti, non con il magro bilancio della Difesa.
- Puntare di più sui programmi di sviluppo tecnologico, anche se non sempre e non subito questo porta a nuovi equipaggiamenti immediatamente disponibili. Non dobbiamo considerare solo le esigenze immediate, ma anche quelle future, se vogliamo rimanere agganciati al treno dell’innovazione tecnologica e usare gli investimenti anche per favorire la crescita complessiva del nostro paese.
- Rendere subito disponibili nuove risorse finanziarie per realizzare questa linea di azione, anche realizzando le indicazioni del Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, e per cominciare a rispettare l’impegno ad investire il 2% del Pil nella difesa.
Prendiamo atto con pragmatismo che se non possiamo giocare in serie A, possiamo però vincere la serie B.
Michele Nones, Istituto Affari Internazionali