Palazzi & potere

Il grande paradosso USA: Trump ha vinto con meno voti della Clinton

Alexander Hamilton (Publius), uno dei Padri fondatori della Costituzione americana a fine '700, lo sostenne nel N. 68 dei "Federalist Papers". Occorreva tenere conto della volontà popolare ("the sense of the people") nella scelta della più alta magistratura federale, il Presidente, insieme a quella del suo vice. Ma occorreva anche fare in modo che la "immediate election", in altri termini la vera elezione, fosse compiuta "by men most capable of analyzing the qualities adapted to the station", da persone cioè che fossero poche, elette dai molti, ma capaci di una "giudiziosa combinazione" di tutte le ragioni in campo. Quella del Presidente americano era, ed è sempre rimasta, una vera elezione di secondo grado. E solo ora ce ne accorgiamo, ora che succede per la quinta volta nella storia americana, su un totale di 58 elezioni, che sia eletto Presidente quello che ha preso meno voti. Era già accaduto nel 1824, 1876, 1880, mai nel secolo scorso, di nuovo poi nel 2000, e infine adesso, con Donald Trump contro Hillary Clinton. Quest'ultima ha preso 60.981.000 voti, contro i 60.350.000 del miliardario, con una differenza di 631.000 voti, pari a quasi 0,5% dei voti validi complessivi, ma ha vinto in appena venti stati contro i trenta di Trump, e dovrebbe riportare così 232 grandi elettori contro i 306 di Trump (c'è ancora qualche margine di incertezza).
Lo sfortunato Hamilton, insomma, non poteva assolutamente prevedere una cosa. Che nel 2016 una candidata senz'altro discutibile e a dir poco imperfetta, ma di grande esperienza, riflessiva, pacata, ottenesse il maggior numero di voti popolari (quelli che secondo lui avrebbero rischiato di finire preda della demagogia); e che un uomo senza alcuna esperienza politico-amministrativa, imprevedibile, intemperante, incline a battute volgari e offensive verso le minoranze, dai successi personali e professionali alquanto dubbi e discussi, sia diretto verso l'elezione ad opera di quell'Electoral College che, nelle previsioni dei Padri costituenti, avrebbe dovuto essere luogo di saggezza e ponderazione. Un bel paradosso. Pesa su questo il fatto che ormai, in parte per legge di alcuni stati, in parte per convenzione di correttezza democratica, il collegio dei grandi elettori sia fedele alla volontà espressa dai cittadini, mentre in tempi antichi si davano molti voti difformi dalla loro volontà. Ma tant'è.
Cosa si vuole dire con questo?
Lasciamo i lettori liberi di trarre le loro conclusioni, ma vogliamo dire almeno che tanta parte dei commenti letti e sentiti, specie in Italia, lasciano il tempo che trovano. Come quelli per cui i sondaggi hanno sbagliato tutto (non sono stati perfetti ma si sono avvicinati al risultato, non sapendo prevedere solo come il voto si sarebbe distribuito tra gli stati). Ora, in modo ineffabile i commentatori dicono anche che gli elettori hanno sonoramente bocciato la Clinton, o assegnato un trionfo straordinario a Trump, magari gli stessi che hanno sempre tifato per Hillary.
La verità dei fatti dice cose sostanzialmente diverse. Siamo dei democratici e dei legalitari, riconosciamo che le regole erano queste e finché saranno queste vanno rispettate. Così, del resto, faranno tutti in America, fatta eccezione per i manifestanti che ancora non si sono rassegnati alla sconfitta e non stanno dando certo un esempio di rispetto per la loro stessa storia di grande democrazia. Le regole del gioco non si accettano solo quando si vince.
Questo dato però andava ricordato, soprattutto a coloro che qui in Italia soffiano sul vento del "trumpismo" per interessi di bottega, avendo una storia opposta a quella di Donald, fatta solo di carriera politica, senza aver mai prodotto un euro di PIL.
Perché se Trump ha vinto è anche grazie alla sua storia, certo discussa, ma di imprenditore di successo, capace anche di rialzarsi di fronte ad alcuni fallimenti. Anche per questo è stato ritenuto credibile e a dicembre, grazie ad una rara alchimia del sistema elettorale americano, ma grazie anche ad una straordinaria e scientifica campagna elettorale, i grandi elettori lo eleggeranno presidente degli Stati Uniti d'America.

 

Andrea Bernaudo e Jan Sawicki