Politica
Pd, Recalcati: “E' finita un'epoca. Spero in Majorino. E anche nel Terzo Polo"
Intervista di Affari: "Il laboratorio politico di Majorino non può essere ridotto al recinto di un partito. Sia l'apertura di una nuova stagione politica"
Il Pd sul lettino del Prof. Recalcati: "Rimozione in piena regola, non vuole prendere atto della fine di un'epoca"
Massimo Recalcati non ha bisogno di molte presentazioni. Psicoanalista di scuola lacaniana, è molto noto anche come saggista, conduttore televisivo e autore teatrale. Inoltre, da tempo fa discutere anche il suo palese posizionamento in poltica. Vicino al Pd, nel 2017 ha promosso la nascita della scuola di partito intitolata a Pier Paolo Pasolini e ieri (24 gennaio) ha scritto su “Repubblica” un articolo dal titolo “Esame di coscienza elettorale”: un accorato endorsement per Pierfrancesco Majorino e, nel contempo, una serie di considerazioni molto nette sulla crisi, quasi esistenziale, del Pd.
Nel suo articolo parla del Pd come di un “paziente in una condizione post-traumatica: ripete senza tregua proprio quello che lo ha frantumato. Accade clinicamente nei soggetti che hanno subito dei traumi: anziché cambiare, separarsi da ciò che li ha fatti ammalare, ripetono incessantemente lo stesso copione”. Dobbiamo quindi pensare che la soluzione dei problemi del Pd sia da ricercare nella clinica?
“No, la soluzione può essere solo politica. La figura clinica del paziente post-traumatico che tende a ripetere costantemente l’orrore del trauma subito era una metafora per inquadrare la condizione attuale del Pd: anziché introdurre una discontinuità rispetto al passato, il partito continua a ripetere inesorabilmente gli stessi errori. E’ una spinta più forte di lui. Freud la definirebbe una vera e propria coazione a ripetere: faide, correnti, battaglie nominaliste, formalismi, occupazione dei posti di potere, calcoli, tatticismi privi di pensieri lunghi, conflitti e recriminazioni personali… Ci vorrebbe invece un vero e proprio taglio, una invenzione, un gesto forte, inequivocabile, poetico e rivoluzionario insieme, di discontinuità….”
Noi abbiamo più volte scritto che, dopo il tracollo elettorale del 25 settembre, il Pd invece che reagire adottava la tanatosi, fingendosi morto come gli opossum. Lei come si spiega questo atteggiamento?
“Una rimozione in piena regola. Non si vuole prendere atto radicalmente della fine di un’epoca. Rimozione in psicoanalisi significa non volerne sapere, rifiutarsi di prendere atto di una realtà penosa. Il gruppo dirigente del partito sconfitto alle elezioni avrebbe dovuto rimettere il proprio mandato il giorno dopo. Anche i continui riferimenti al renzismo come piaga che ha avvelenato il partito snaturandolo, mi appare fortemente sintomatica. Renzi è stato, seppure per un tempo breve, un vento forte in un campo di morti. La sua stagione poteva segnare davvero una svolta riformista nel nostro paese. E’ stata una grande occasione persa per tutto il centro sinistra. In questo esito Renzi stesso ha certamente delle grandi responsabilità personali-caratteriali e politiche. Quelle politiche non si riducono solo al referendum ma, per esempio, hanno investito profondamente il mondo della scuola. Lì si è rotto un legame storico e il centro sinistra ha perso un pezzo importante del suo popolo che andava e va recuperato. Più in generale credo anche che sia stato mancato un effettivo ricambio generazionale che non è solo un cambiamento di facce e di nomi, ma dovrebbe anche essere di lessico, di visione, di pratiche, di organizzazione del partito…. Ora siamo in una palude. Non soffia più nessun vento. Per questo guardo con speranza a quello che accade in Lombardia con Majorino e anche al Terzo polo…Sono certamente dinamiche politicamente differenti ma almeno sono delle dinamiche! Sassi nello stagno, aperture, movimenti collettivi… Il fatto che in Lombardia non si sia giunti a concordare una candidatura unitaria tra PD e Terzo polo è stato l’ennesimo sintomo della difficoltà di dare vita ad un movimento quando ciascuno avanza la pretesa ad intestarselo… E’ un vecchio nodo della politica. Bisognerebbe sempre ricordare che la vera paternità non s’identifica con la proprietà ma con un atto di donazione….Io sogno un centro-sinistra radicalmente riformista che includa Terzo Polo e un nuovo Pd, ma che sia anche aperto alle forze progressiste che si muovono nella società civile…”.
Ha spiegato molto efficacemente perché darà il suo voto a Majorino: lei crede che in caso di vittoria in Lombardia il Pd possa rilanciarsi anche a livello nazionale o sono due vicende diverse?
“Sarebbe solo una boccata d’ossigeno al capezzale di un moribondo. Ci vuole uno sforzo collettivo di invenzione, di poesia, di rigenerazione. Il laboratorio politico di Majorino non può essere ridotto al recinto di un partito. Si tratta, io spero, di un’impresa più ampia. Più che rianimare un partito in crisi o in coma dovrebbe essere l’apertura di una nuova stagione politica. La logica sterile delle alleanze deve lasciare il posto alla forza di aggregazione di un movimento che si struttura dal basso, plurale, pragmatico, non ideologico. Una nuova leadership dovrebbe essere capace di facilitare questa aggregazione e non di governarla dall’alto. Vale, se si vuole, nel suo significato più largo, quello che leggevo da ragazzo in un giornale della sinistra extraparlamentare: non è l’organizzazione che genera la rivoluzione, ma è la rivoluzione che genera l’organizzazione. E’ stato il movimento singolare di Majorino a creare un campo che prima non esisteva o esisteva solo in termini elettoralistici e riduttivamente partitici”.
Lei ha scritto che la discussione sul futuro del Pd “assume toni sempre più farseschi rivelando un disagio profondo”. Quale delle quattro mozioni le sembra più adatta a rilanciare il partito?
“Francamente io più ascolto i candidati, che hanno tutti la mia personale stima, più non riesco a notare tra loro sostanziali differenze. Né tra di loro, né tra loro e, del resto, il programma di Letta. Mi pare che questo sia un grosso problema”
Già dieci anni fa, in “Patria senza padri – Psicopatologia della politica italiana”, lei ha evidenziato come la politica di destra risponda ad istanze profonde come la paura, sfociando talvolta nel razzismo e nella xenofobia. Come dovrebbe comportarsi la sinistra, spesso accusata di essere troppo razionale e non sapere parlare “alla pancia” del popolo?
“'Le anime perse cercano un sovrano e il sovrano cerca delle anime perse, scriveva Spinoza'. Nei momenti di smarrimento il padrone con in mano un bastone può essere una tentazione pericolosa. Ma la paura non è solo un fenomeno che scaturisce dall’analfabetismo o dalla barbarie politica. E’ anche una condizione reale della vita di molti, soprattutto di coloro che vivono nella precarietà e nelle periferie delle grandi città. Lo sappiamo bene. Penso anche a Milano. Esistono fette di città dove lo Stato è assente. Senso della sicurezza non significa militarizzazione, ma fare sentire che lo Stato è sempre presente soprattutto per i più deboli. Sogno, per esempio, delle città che abbiano più centri e meno periferie. Ma anche una società dove il merito conti più del sangue. Un centrosinistra riformista dovrebbe innanzitutto ridare valore all’istanza del desiderio singolare e collettivo come cuore di ogni azione politica. Questo significa rianimare le nuove generazioni sottraendole alle facili illusioni del populismo. Significa investire sulla cultura, sulla formazione delle nuove classi dirigenti del partito, sulla bellezza e sulla nobiltà dell’azione politica. Ma questo significa anche recuperare da sinistra il valore di parole come quelle di merito e di sicurezza… Il merito non è memico della solidarietà, come la sicurezza non è nemica dell’accoglienza”.