Politica
Referendum, Sì del popolo ma in Parlamento si nascondono le insidie
SI del popolo al Referendum: tra sovranità ed insidia politica di fine legislatura. La garanzia delle forme dell’art. 1 della Costituzione
Tagliare il numero dei parlamentari è atto di democrazia.
Voto sterile? Non proprio.
Voto utile? Forse.
Certamente un Referendum come Costituzione prevede.
Il punto nevralgico ora è, con tutta probabilità, capire cosa farà il Parlamento dopo il taglio parlamentari.
Sarà capace di vestire al meglio le due Camere con nuove regole?
Sarà capace di elaborare una legge elettorale per la nuova forma (numerica e non) di rappresentanza?
La forma, non foss’altro per la nostra amata Costituzione, è tutto: viene prima della sostanza dato che quest’ultima ha valore ed utilità solo se posta in un contesto armonizzato ed in equilibrio.
La metafora che più si presta alla questione ha natura economica: l’acqua in una bottiglia da litro ha una propensione di utilità (e soddisfacimento) diversa rispetto alla stessa acqua contenuta in una bottiglia più piccola.
Chiaro è che tutto dipende anche dal grado di necessità del corpo del soggetto che dovrà placare la sua sete (altezza, larghezza, ecc.).
Pertanto è vero che oggi stiamo vivendo una politica quasi liquida, post-ideologica, perlopiù volatile, ma resta il fatto che dobbiamo fare i conti con le regole fondamentali.
Ora, giusto ad ulteriore chiarezza, il nuovo Parlamento (Camera e Senato) sarà composto da 600 componenti e non più di 945 membri.
Cambia, quindi, il contenitore quanto a dimensioni.
Allo stesso modo cambia il contenuto?
Gli artt. 56 e 57 Cost., quanto alla sostanza, si esprimono su un livello di ripartizione per seggi proporzionalmente determinati su scala nazionale per la Camera e regionale per il Senato.
Il voto referendario, approvando le c.d. “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” (in G.U. Serie Generale n.240 del 12-10-2019), ci pone dinanzi ad una relazione costituzionale per certi versi nuova, anche se legittimata dal procedimento di revisione stadiato nell’art. 138 Cost. (risaputamente).
Ciò perché la legge di modifica costituzionale summenzionata riporta all’art. 4 che “Le disposizioni di cui agli articoli 56 e 57 della Costituzione, come modificati dagli articoli 1 e 2 della presente legge costituzionale, si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore”.
Tale inciso della legge costituzionale, appena approvata dal voto referendario, potrebbe nascondere un’insidia “politica” non certo del tutto decifrabile tenuto conto degli esiti elettorali, contemporanei al Referendum stesso, del voto delle Regionali (non bisogna dimenticare che, ormai, in base alla riforma del Titolo V della Costituzione trattasi di legislatori concorrenti e, in certe materie, esclusivi rispetto al Parlamento nazionale nonché rispetto al Governo in ipotesi di D.L. e D.Lgs.).
Le due cose vanno valutate inscindibilmente perché a seconda della tenuta della maggioranza parlamentare (che diverge, oggettivamente, dal risultato originariamente dato dalla tornata del 4 marzo 2018 rispetto alla situazione reale odierna) ne va della legislatura, della prossima elezione del Presidente della Repubblica, del Governo Conte e, in ultima analisi (insidia nascosta nelle parole dell’art. 4 di cui sopra appunto), di una delle due Camere o di entrambe.
L’ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere parlamentari, non nuova all’esperienza repubblicana, potrebbe essere strumento decisivo per l’elezione di un Presidente della Repubblica con rispondenza elettiva diametralmente opposta a quelle dell’ora in carica Sergio Mattarella.
Si consideri, a tal punto, che il vigente parlamento ha una presenza massiccia di una forza parlamentare (il Movimento 5 Stelle) che in due anni, rapportandosi al livello regionale (ma anche considerate le ultime europee), ha perso dal 15% al 20% circa (ragionando per difetto di calcolo) della capacità attrattiva elettorale.
Quindi la riflessione giunge ad un bivio: se il Parlamento attuale, il cui gruppo partitico più numeroso è M5S, non riflette (grossomodo tra alti e bassi) l’andamento elettorale del paese, come può reggere l’equilibrio, sottile, con la forza maggioritaria che oggi è il Partito Democratico?
Si faccia attenzione perché, con il taglio parlamentari, cresce (o forse addirittura nascerebbe) di fatto una terza Camera: quella delle Regioni.
Allora occorre certamente rispettare la volontà degli italiani: SI al taglio parlamentari.
Taglio che partirà dalla prossima legislatura.
L’occhio, però, cade su quel famoso art. 4 della legge costituzionale innanzi citata perché gli effetti della riforma decorreranno precisamente dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere.
E se per caso Mattarella, vista la situazione attuale del Senato (si ribadisce eletto su proporzione regionale) decidesse di scioglierlo?
Se dovessero presentarsi, da qui ad 1 anno (post recovery plan magari) alcune forze politiche a chiedere di rinnovare elettoralmente parlando la sola camera più anziana?
Gli effetti della legge costituzionale approvata sarebbero così travolti a posteriori e per l’effetto differiti?
Letteralmente la riforma votata dagli italiani prevede solo l’ipotesi del primo scioglimento o cessazione congiunta.
Ipotesi suggestiva.
Tuttavia, quest’ultima, ineditamente potrebbe verificarsi se la politica non saprà fare quanto previsto dall’articolo 1 della Carta fondamentale: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
La forma, come si vede, è il pilastro della sostanza.
Nostalgia canaglia direbbe una celebre canzone.
Ma forse siamo solo difronte all’ennesimo tentativo di una Democrazia evolutiva che vuole a tutti i costi che si riaffermi, nel tempo, una seria Politica di classe (senza allusioni varie).