Politica

Se giornalismo e potere fanno paura

Di Ernesto Vergani

Dopo le critiche a Rai3 e al Tg3 da parte di Michele Anzaldi, membro Pd della Commissione di Vigilanza Rai, intervistato dal direttore del Tg3 Bianca Berlinguer, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha fatto un volo pindarico: “Credo che la Rai, il sistema dell’informazione in generale, debbano raggiungere dei risultati: il primo è far sì che i nostri cittadini siano sempre più orgogliosi delle cose che vanno, critici sulle cose che non vanno”. Per dovere di completezza, il premier ha anche detto che i giornalisti debbano essere liberi e indipendenti e che non ci sarà nessun editto bulgaro.

Compito di un giornalismo competente e professionale è informare rispettando la verità sostanziale dei fatti (ed eventualmente criticare). Il fruitore dell’informazione si farà da sé una propria idea su quel fatto. Il cittadino deciderà da sé se essere orgoglioso. Le regole del giornalismo sono poco note (anche a tanti giornalisti). Criticare esclusivamente non è sinonimo di giornalismo.

Ciò spesso diventa qualunquismo. Per giunta tali atteggiamenti sono quasi sempre di facciata. In realtà, nonostante la dissimulazione, è evidente l’adulazione. Spesso mascherata, nascosta in un aggettivo, nel particolare di una vignetta satirica. Simili condotte indeboliscono il giornalismo e fanno cadere la fiducia delle persone in esso. Porre la questione delle epurazioni, pur negandola, significa creare un clima. Se è giusto dire che gli indicatori economici sono il segnale che l’Italia è ripartita, lo è altrettanto affermare il dubbio che in Italia ci sia un problema di consenso. Il discrimen è sottile. Una sorta di braccio di ferro. Qualcosa che ricorda il rapporto tra masochista e sadico. Il rapporto tra controllore e controllato è bidirezionale. Una sorta di paranoia basata sulla paura reciproca. Il primo avversa il secondo, il secondo cerca protezione.