Politica
Taverna, “anima e core” dei 5 Stelle. Un personaggio di un film di Verdone

Paola, trombata, donna di cultura e frizzante poetessa
Paola Taverna cerca lavoro?
Una delle vittime più nobili e più illustri della tagliola del secondo mandato è stata lei, Paola Taverna, vicepresidente del Senato e “anima e core” dei Cinque Stelle delle origini, quelli dei vaffa per intenderci.
La Taverna è meglio di un personaggio di un film di Verdone e ha allietato ed allieta tante giornate uggiose e malinconiche con una nota di ottimismo che solo la sua voce rauca da portinaia ingrifata di Torre Maura sa regalare ai suoi sostenitori.
Le sue perle linguistiche sono epiche. L’ultima è stata rilasciata, è il caso di dirlo, proprio durante la recente crisi che ha condotto alla caduta del governo Draghi.
La pasionaria di Roma Est (che dice di vivere ancora in un appartamento di 50 metri delle case popolari), ben lontana dallo snobismo pariolino mal celato di Alessandro Di Battista che invece è di Roma Nord, ha tuonato un meraviglioso “lo sfonnamo!” rivolto all’attonito ex banchiere centrale europeo, che impaurito dalla verve polemica e dalla mancanza cronica di mascherina della suddetta, ha rapidamente guadagnato l’uscita un po’ preoccupato, ma anche in fondo un po’ eccitato per la minaccia di violenza.
Va da sé che gli spiriti di Tomas Milian e di Bombolo, presenti in anima all’evento nell’emiciclo, sono stati costretti ad arrossire superati entrambi dalla loro intraprendente allieva che di strada ne ha fatta veramente tanta da quando era impiegata in un centro di analisi.
La Taverna infatti è una di quei fortunati che sono stati toccati dalla magica bacchetta della Fata Populina, che energizzata dal Topo Galileo genovese, l’ha trasformata da urlatrice di riunioni condominiali in urlatrice senatoriale inondata di soldi e di quegli agi che a parole i seguaci della suddetta fata dicevano di voler combattere.
La ricordiamo anche come donna di cultura e frizzante poetessa che scriveva sonetti in romanesco nei confronti dei suoi colleghi inciucisti:
«Proponi accordi strani e vedi prospettive/Mentre io guardo ‘ste merde e genero invettive».
Poi ci fu una strana storia di tonni e catene e di chirurgia sperimentale, come avrebbe cantato Lucio Dalla ed è finita come è finita.
Comunque a lei è andata bene perché almeno non si è trasformata in Zombi come molti suoi colleghi.
Neppure ha rinunciato al suo gagliardo spirito popolano che l’ha portata poco tempo fa, dopo la trombatura del terzo mandato, a dire: «Sorrido pensando alle mie urla contro il sistema risuoneranno ancora a Palazzo Madama».
Le urla, come un antico ricordo del tempo che fu, ne siamo certi, continueremo a sentirle risuonare tra quelle poltrone di velluto damascato rosso e tra i quadri dei Padri della patria.
Come siamo certi che qualche commesso la vedrà levitare in spirito tra la buvette e i bagni dai rubinetti d’oro (così diceva la leggenda raccontata dalla ingannatrice fata Populina) piangendo e disperandosi per il suo destino.
Infatti fra poco, lasciati i drappeggi senatoriali, dovrà tornare, se è fortunata, al vecchio laboratorio di analisi oppure in qualche call center.