Politica

Ue, la Spagna insegna, niente Cdx. "Schema Ursula" anche dopo il 2024

di Alessandro Amadori, politologo e sondaggista

La Spagna potrebbe essere il Paese-laboratorio rispetto a quanto avverrà nel 2024, quando ci saranno le elezioni europee

Per quanto riguarda i singoli partiti, gli elementi interessanti sono da un lato la notevole crescita dei Popolari (che hanno conquistato ben 47 seggi in più), dall’altro il calo significativo del partito di destra-destra Vox (che invece ha perso 19 seggi). In Spagna, dunque, è avvenuto almeno parzialmente un travaso di voti dalla destra più destra alla più moderata formazione popolare (in un certo senso, un ritorno a un baricentro democristiano). E infatti, per avere la maggioranza, il PP si dovrebbe alleare proprio con Vox. Un matrimonio politico che però, al momento, non appare facile. Così come non sembrano agevolmente praticabili altre soluzioni che abbiano come perno il principale competitor dei popolari, ossia il partito socialista.

Se prendiamo per buona l’ipotesi che la Spagna possa fungere da indicatore predittivo dell’andamento delle elezioni continentali il prossimo anno, arriviamo a ipotizzare che anche dopo le europee del 2024 non ci sarà una maggioranza chiara e univoca, di centrodestra o di centrosinistra. E che si riproporrà, dopo il voto, lo “schema Ursula”. Ossia, il formarsi di una maggioranza simile a quella che, nel 2019, aveva permesso la conferma della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen: una maggioranza composta dai partiti conservatori e progressisti, insieme con le formazioni “euroscettiche” più moderate.

La Spagna, dal punto di vista storico e quindi anche politologico, è una sorta di terra di mezzo fra il mondo latino da una parte, e quello asburgico-sassone dall’altra. Per questo quanto succede nel Paese iberico va guardato con attenzione e considerato come un’interessante sintesi dei trend sociopolitici dell’intero continente.