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Politica
Ue: transizione verde, difesa e salute: rendere permanente lo strumento del Pnrr:

Ursula Von Der Leyen a Kiev

Rendere permanente lo strumento del Pnrr

Si discute da tempo in Europa, soprattutto alla luce del rapporto di Draghi sulla competitività, di come poter rendere il Next Generation Eu, uno strumento permanente per lo sviluppo e il rilancio della competitività dell’economia europea. Se ne discute anche alla luce dei grandi investimenti che Usa e soprattutto Cina hanno fatto per sostenere le proprie economie. Come il grande piano statunitense contro l’inflazione approvato nel 2022, il cosiddetto IRA, con investimenti federali per oltre 750 miliardi di dollari per la lotta al cambiamento climatico, la riduzione dell'inflazione e dei costi della sanità.

Anche per questo, l‘Europa si trova a far fronte ad un calo della competitività, non solo verso i due giganti dell’economia mondiale, ma anche nei confronti di alcune economie emergenti come quelle del Golfo o come quella indiana (che hanno iniettato centinaia di miliardi di fondi pubblici nella economia dei rispettivi paesi nell’ultimo decennio).

Quindi è naturale che per rispondere a queste sfide, l’Europa non può prescindere dalla necessità di adottare strumenti di finanza pubblica comune, come gli eurobond, utilizzati per finanziare il piano di resilienza e resistenza. È una discussione che purtroppo fino ad ora si scontra con la sostanziale diffidenza dei paesi del nord (Olanda, Austria e Germania in testa) a ricorrere a questa possibilità di condivisione del debito comune. Chi sostiene la necessità di avere uno strumento permanente simile a quello del NGEU adduce motivazioni ovvie che ruotano intorno a tre principali direttrici e cioè:

1. Sostenere riforme orientate alla crescita e alla resilienza negli stati membri (come nella versione attuale);

2. Creare una capacità fiscale centrale per scopi di stabilizzazione macroeconomica;

3. Finanziare la fornitura di beni pubblici europei.

Tra le tre opzioni, forse quella che merita maggiore attenzione è proprio quest’ultima. Questo perché molto semplicemente essa risponde ad alcune preoccupazioni attuali e future dell'UE (ad esempio, transizione verde e difesa, a cui aggiungiamo la salute); fornisce buoni risultati, in termini di benessere e, possibilmente, crescita; e potrebbe essere il più fattibile politicamente, data la domanda emergente della società di beni pubblici.

Un'ultima ragione è che la definizione di un bene pubblico europeo può includere i primi due scopi, vale a dire, resilienza economica e stabilizzazione macroeconomica. Puntare alla terza opzione può quindi incorporare i primi due, mentre le prime due opzioni potrebbero anche escludere, in linea di massima, le altre due.

Stabilito questo, però si tratta di capire come poter operare una scelta difficile e coraggiosa che comporterebbe probabilmente anche una modifica degli attuali trattati europei, di cui tra le altre cose si sta discutendo da anni.

Ed ecco che facendo una breve digressione, anche alla luce di tutto ciò, il ruolo di Raffaele Fitto, nella nuova commissione, potrebbe assumere una importanza fondamentale, avendo in capo, tra le altre cose, anche la delega delle riforme, oltre a quella sulla coesione (che potrebbe anche diventare complementare al nuovo grande piano di investimento) e appunto la delega sul NGEU (anche se in coabitazione con il commissario all’economia Dombrovskis).

Il nuovo commissario dall’alto della sua grande esperienza, con risultati eccellenti,  maturata sul pnrr italiano, potrebbe essere da stimolo ad una possibile riforma del detto piano e dare una decisiva spinta per renderlo appunto strutturale. Il primo passo da fare non può che essere quello di modificare le regole europee in materia fiscale, economica e politica. L’istituzione di uno strumento come gli euro bond non può prescindere dalla creazione di una nuova politica fiscale e di bilancio europea.

Occorre poi anche rivedere le troppo stringenti regole di bilancio, che l‘Europa aveva cancellato nel periodo post pandemia, e che avevano permesso la creazione di debito buono per investimenti e rilancio economico (sotto la spinta decisiva del grande piano del NGEU).

All'interno dell'UE, poi la questione fiscale è stata finora governata da una logica di coordinamento sovranazionale della politica fiscale nazionale. Tuttavia, il principio di coordinamento sovranazionale, sebbene possa essere necessario a livello funzionale, contrasta il principio di democrazia nazionale e di auto legislazione.

Il coordinamento della politica fiscale nazionale colpisce il nucleo delle democrazie degli Stati membri, in quanto limita il potere di bilancio parlamentare nazionale. Ecco allora che, come ribadito dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, al meeting di Rimini, occorrerebbe una politica di armonizzazione delle regole fiscali europee.

“Un banco di prova sarà confermare i progetti di spesa comuni e avanzare verso un’unione più completa e integrata sul piano finanziario e fiscale" ha detto Panetta, al meeting di Rimini ad agosto, aggiungendo che "l’Unione europea dovrà avviare riforme profonde ed effettuare investimenti ingenti nei prossimi anni. Tra le riforme, ho già sottolineato l’importanza di creare una capacità fiscale comune, senza la quale l’attuale governance europea – caratterizzata da una politica monetaria unica e da politiche di bilancio frammentate a livello nazionale – rimane squilibrata".

Basti pensare a quanto ha fatto per il bene dell’Europa, la costituzione del mercato unico (su cui si discute molto su una sua riconfigurazione, nella quale il nostro paese potrebbe svolgere un ruolo di mediazione tra le esigenze europee di competitività nei confronti dei giganti statunitensi e cinesi da una parte e quella di mantenere concorrenza interna e un accesso paritario al mercato europeo dall’altra) che con i suoi oltre 440 milioni di consumatori e grandi economie di scala, ha permesso all'UE di diventare il più grande blocco commerciale del mondo.

Senza di esso, secondo le stime di molti economisti, il reddito pro capite in Europa sarebbe più basso di un quinto. Ma come ben descritto anche nel report sulla competitività di Mario Draghi presentato a Strasburgo la settimana scorsa, bisogna incrementare gli investimenti in Ue per circa il 5% del PIl complessivo, perseguendo gli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa.

“Se l'Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”.

Una sfida che non può non passare da un piano di investimenti permanente simile al NGEU (forse non a caso Draghi parla proprio di 800 miliardi all’anno necessari, che è proprio la somma stanziata per finanziare il next generation EU). Ecco allora perché qualcuno, per definire il momento in cui sta vivendo l’Europa, ha voluto scomodare Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori dell'America, che nel 1790, da segretario del tesoro, propose la condivisione del debito pubblico contratto dai 13 stati che allora componevano gli Stati Uniti in un unico debito di responsabilità del governo federale (e allo stesso tempo, ottenne anche la creazione di una banca centrale unica e moderna).

Ma il paragone appare un po’ 'fuorviante, perché i programmi e le circostanze temporali differiscono così sostanzialmente da rendere questo parallelo praticamente privo di significato. L’Europa allora deve pensare a come cambiare la sua stessa natura per diventare qualcosa che vada oltre la condivisione di una semplice moneta e poco più.

La realizzazione di un piano permanente di rilancio della propria economia, con una grande piano di finanziamento comune della difesa comune, della politica industriale, della gestione dei flussi migratori e per finanziare anche una transizione green pragmatica e realistica, è un progetto su cui dovrebbe poggiare le proprie basi una nuova idea di Europa. Una nuova unione europea rafforzata su alcuni capisaldi fondamentali, che possa degnamente e con maggiore forza e consapevolezza di sé affrontare le sfide epocali che l’attendono nei prossimi 10/20 anni.

Con un NGEU permanente, gli europei potrebbero decidere di assegnarsi una quota della ricchezza comune ricavata dagli immensi profitti privati realizzati dal mercato interno. Questo sarebbe forse l’inizio di un nuovo ciclo economico per l'Europa: l'avvento di una capacità fiscale europea per fornire beni pubblici e nel frattempo tassare il mercato interno (senza più ricorrere solo ai contributi dei singoli stati nazionali) e dare vita a una vera democrazia europea, poiché "nessuna rappresentanza (può funzionare) senza tassazione".






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