Politica
Un filosofo marxista candidato sindaco a Milano
Affaritaliani.it intervista Fabio Pascale
Oggi intervistiamo Alessandro Fabio Pascale, candidato sindaco a Milano per il Partito Comunista. Pascale qualche giorno fa ha lasciato di stucco la platea di ConfCommercio, con due brevi interventi di 3 minuti l'uno che secondo alcuni sono stati “una lezione di marxismo”, secondo altri l'esposizione dei “contenuti più radicali” tra le varie proposte politiche. È così Pascale? Lei è un estremista?
- Il termine “estremista” ha già di per sé un'accezione valoriale negativa, ma non ci dice nulla sui contenuti proposti dal soggetto. Personalmente non penso di essere un estremista, anzi... l'altro giorno alla Confcommercio credo di aver detto cose di buon senso, peraltro in linea con quelle che sono le strategie e i programmi del Partito Comunista, che sta lavorando per la democraticizzazione di un sistema sempre più autoritario e repressivo.
Le cose che ho detto nel discorso sono di una semplicità estrema: la politica deve governare sull'economia, e non viceversa; le aziende pubbliche non possono funzionare come delle società per azioni, ma devono trasformarsi in luoghi dove i lavoratori partecipino attivamente alla gestione della cosa pubblica; è sbagliato infine dare soldi pubblici alle aziende private senza chiedere nulla in cambio: in quest'ultimo caso soprattutto è fondamentale che l'ente pubblico entri con partecipazione di minoranza nelle aziende sostenute per poter controllare l'uso che viene fatto dei fondi messi a disposizione, vigilando affinché essi vengano usati per migliorare non solo la produttività, ma anche le condizioni di lavoro e di vita dei dipendenti. È un dato di realtà che non pochi grandi proprietari e azionisti abbiano sfruttato a proprio vantaggio la situazione di crisi e gli scarsi controlli. Mi sembrano insomma idee di buon senso. Se la stampa le giudica estremiste, forse è perché la struttura capitalistica fondata sul dominio dei privati è estremista e non accetta alcun contraddittorio.
- Sarà, ma secondo molti lei è uno degli alfieri del populismo moderno.
- Noi siamo un partito popolare, non certo populista. Il nostro è in realtà l'unico programma concreto che garantirebbe la transizione verso una società più civile, sana e solidale. Abbiamo bisogno di un'attenta pianificazione politico-economica che parta dallo sviluppo di una politica industriale pubblica. Siamo un paese avanzato e siamo in grado di guidare l'economia in maniera più efficiente rispetto a quanto faccia questa “mano invisibile” del mercato. La nostra è una proposta aperta a tutto il mondo del lavoro che soffre per la subalternità italiana agli interessi di Washington e Bruxelles. Deve però essere chiaro che ci serve una società effettivamente democratica, guidata dal suo popolo, a partire dalla redistribuzione del potere nei confronti della classe proletaria. Per 40 anni il popolo ha visto peggiorare la propria condizione di schiavitù salariale, a seguito delle tremende piaghe neoliberiste inflitte da centro-destra e centro-sinistra, ossia dai rappresentanti delle principali fazioni borghesi. Noi sappiamo che solo dallo sviluppo degli enti pubblici è possibile regolamentare adeguatamente il caos dell'anarchia produttiva capitalistica, in cui ognuno fa quello che gli pare. Noi daremo l'esempio: la democrazia nei luoghi di lavoro è una condizione di libertà necessaria perché si possa parlare di reale democrazia politica. Si ricordino sempre le parole di Jean-Jacques Rousseau: «la Democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi».
- Concretamente cosa fareste a Milano in caso di vittoria alle elezioni?
- Faremmo una rivoluzione. Anzitutto stracceremo il Patto di Stabilità europeo, revisionando l'enorme debito pubblico accumulato dal Comune e facendo pagare le tasse alle multinazionali, ai palazzinari e se necessario ai più benestanti. Con questi fondi costruiremmo una serie di aziende pubbliche che darebbero lavoro a migliaia di persone e che avrebbero il compito di sistemare completamente la città, a partire dal patrimonio pubblico e dallo sviluppo delle periferie. C'è poi da ristrutturare in profondità la mobilità della città, partendo da alcuni punti fermi: difesa dello statuto pubblico di ATM contro i tentativi del centro-sinistra di Sala di privatizzare l'azienda; decentramento di una parte delle attività produttive e dei servizi nelle periferie; costante dialogo e confronto con le associazioni e i comitati di quartiere per definire i piani di sviluppo per una mobilità sostenibile. Promozione ad ogni livello ed in ogni strato sociale di percorsi inclusivi, sociali, culturali. Milano deve diventare una comunità coesa, oltre che una capitale europea della democrazia, del Lavoro e della transizione ecologica.
- Sembra tutto molto vago... Potrebbe spiegare meglio come affronterebbe il problema della casa, su cui in effetti molti candidati stanno concentrando l'attenzione?
- Abbiamo costruito un “Piano sostenibile per la casa” che consiste di diversi punti: anzitutto occorre terminare di ristrutturare e assegnare entro il 2023 tutte le 15 mila case popolari tuttora vuote o occupate abusivamente. Dopodichè, per uscire dal contingente, vogliamo un'azienda pubblica di edilizia che avrebbe il monopolio potenziale sul territorio di Milano. Sotto la nostra gestione tutti i lavoratori dell'edilizia privata che lo richiedano verranno riassorbiti in un'azienda sostenuta da appositi enti finanziari pubblici, con cui avviare la ristrutturazione della città. La ristrutturazione degli stabili esistenti partirà dal patrimonio edilizio pubblico, in primis le scuole, per poi concentrarsi su interventi mirati nelle periferie. Tutti gli appalti finora assegnati vanno bloccati per essere sottoposti a revisione di appositi organismi di controllo legale e politico. In generale miriamo a eliminare la logica stessa degli appalti, e quindi in linea di massima non intendiamo lasciare più spazio ai privati nell'edilizia, salvo eventuali accordi con aziende che siano state verificate e assicurino per contratto standard elevati di qualità e di sostenibilità sociale e ambientale. Quel che proponiamo a tutti i lavoratori del settore edilizio è quindi di lavorare “per il pubblico” o “con il pubblico”. La cosa interessante è che si potrebbe sfruttare il bonus del 110% facendo perfino guadagnare il Comune e i privati disposti a cedere una quota del 10% di ricavi. Faccio notare che l'efficientamento energetico che si otterrebbe da questi lavori consentirebbe di ridurre notevolmente l'inquinamento dell'aria, dato che la dispersione energetica del patrimonio edilizio è la prima fonte di emissioni nocive a Milano. Infine servirebbe un censimento di tutto il patrimonio immobiliare per colpire i palazzinari (spesso collegati alle cosche mafiose) e calmierare gli affitti. Né il Comune, né lo Stato sanno infatti chi siano i “grandi proprietari” (quelli con oltre 100 unità immobiliari) che tengono in scacco la città, tenendo artificialmente i prezzi alti. Dopo averli identificati, gli alziamo enormemente la tassazione sulle case sfitte, e laddove necessario, le abitazioni sfitte verranno espropriate per ragioni di pubblica utilità. In questi giorni ho sottoscritto assieme ai candidati sindaco di Torino, Roma e Ravenna un Manifesto per il diritto alla casa in cui promuoviamo l'idea di fare referendum per espropriare gli alloggi sfitti dei grandi gruppi immobiliari. Se queste cose le fanno a Berlino, perché non possiamo farle anche in Italia?
- Perché alla corsa nelle votazioni per il Sindaco di Milano ci sono 3 liste comuniste?
- Qualche giorno fa ho partecipato ad una trasmissione di un'emittente locale il cui conduttore continuava a martellare su questo punto, avendo predisposto la puntata con il sottoscritto e i candidati sindaco di PCI e PCL. Oltre a quanto detto in quella sede, ne approfitto per segnalare che ho trattato le ragioni storiche, politiche e ideologiche delle ragioni di questa frammentazione nella Storia del Comunismo che ho pubblicato e messo a disposizione gratuitamente sul sito Intellettualecollettivo.it, e i cui contenuti sono in via di pubblicazione anche sul portale Storiauniversale.it. Quel che è certo è che il Partito Comunista ha continuato a lavorare per mantenere un serio e franco confronto politico con le altre organizzazioni comuniste, privilegiando però l'unità con la classe, piuttosto che con gruppi che faticano ad uscire dall'idea di essere autosufficienti. Io credo invece che sia necessario un confronto pubblico su come costruire il grande partito comunista di cui il proletariato di questo paese ha bisogno. Le nostre tesi sono a disposizione di tutti. Non abbiamo timore a confrontarci con tutte le forze che abbiano come punto di riferimento minimo il marxismo come teoria rivoluzionaria. Per quanto mi riguarda auspicherei che questo dibattito sia il più vasto possibile e coinvolga tutti gli attuali militanti comunisti sparsi per il paese, oltre che tutti i lavoratori e le soggettività in conflitto contro il regime esistente.
La mia speranza è che possa sorgere in tempi brevi un'assemblea politica nazionale del movimento comunista d'Italia, perché solo dalla capacità di costruire una nuova cultura politica, che sia sintesi progressiva e avanzata delle esperienze pregresse, si potrà conseguire un reale e stabile progresso del movimento dei lavoratori.