Politica
Una legge regionale sul suicidio assistito: col 2023 via alla raccolta firme
Nel 2022 il primo caso dopo la sentenza di non punibilità, ma la bocciatura del referendum e la stasi del Parlamento costringono a tentare un'altra strada
Suicidio assistito: ora la parola passa alle Regioni
Il 2022 è stato un anno storico sul piano dei diritti civili. A giugno è morto Federico Carboni, precedentemento noto con lo pseudonimo di “Mario”. Il suo è stato il primo caso di suicidio assistito nel nostro Paese, dopo che la sentenza sul caso di DJ Fabo lo ha dichiarato non punibile.
La sentenza 242/2019 specifica infatti le quattro condizioni che rendono lecito l'aiuto al suicidio assistito, per una persona “il cui proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Nonostante la storica pronuncia della Consulta, che ha evitato il carcere a Marco Cappato, Carboni ha vissuto un calvario di oltre 20 mesi, per via del contenzioso con il Servizio Sanitario della Regione Marche. Altrettanto tortuoso è stato il percorso verso il fine vita di Fabio e Antonio, nonostante anche loro versassero in condizioni drammatiche.
A tre anni dalla sentenza sul caso DJ Fabo/Cappato, manca ancora una legge dello Stato che regolamenti la materia. L'Associazione Luca Coscioni si era fatta promotrice del referendum sull'abrogazione (parziale) della norma sull'omicidio del consenziente, che tuttavia a febbraio è stato dichiarato non ammissibile dalla Consulta, nell'altro passaggio fondamentale del 2022 sul tema delle libertà individuali.
Secondo gli ermellini, infatti, con la modifica proposta non sarebbe stata “preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Cappato si è scagliato contro Giuliano Amato, fino allo scorso settembre presidente della Corte Costituzionale, parlando di “decisioni politiche” in merito alla bocciatura del referendum sull'eutanasia e di quello sulla liberalizzazione della cannabis.
Il “niet” della Corte e la stasi del Parlamento, che continua a non occuparsi del tema, spinge l'Associazione Luca Coscioni a tentare un'altra strada: quella delle Regioni.
“A tre anni dalla sentenza della Corte Costituzionale e a un anno e mezzo dalla grande adesione popolare in occasione del referendum continuiamo ad attendere un cenno dal Parlamento. Servirebbe una legge che migliorasse quanto deciso dalla Consulta, eliminando le discriminazioni oggi in atto tra i malati che chiedono di poter accedere alla morte assistita (e includendo anche malati che non sono in possesso di trattamenti di sostegno vitale). Nel frattempo le Regioni possono e devono in autonomia applicare questa sentenza che ha portata di legge direttamente applicabile”, spiega una nota.
Per questo motivo da gennaio parte una raccolta-firme in diverse regioni italiane: Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto e Friuli Venezia-Giulia, con lo scopo di far passare proposte di legge che evitino “ulteriori torture di Stato”. Per i promotori dell'iniziativa, le regioni “devono fornire risposte alle persone malate senza tempi dilatati e possono emanare una legge regionale in grado di determinare tempi e procedure certe, dalla richiesta all’accesso alla tecnica, senza ulteriori ostruzioni”.