Politica

Legge elettorale: la riforma sia per i cittadini, non per i partiti

Dom Serafini

La riforma della legge elettorale non ha nulla a che vedere con gli interessi dei cittadini, ma solo con quelli dei partiti, che hanno 4 obiettiv

In un recente Tg La7, Enrico Mentana ha cosí presentato l’ennesimo capitolo della saga per la riforma della legge elettorale: “I nostri telespettatori, e tutti i cittadini italiani, quando si parla di legge elettorale gonfiano le gote, perché ... veramente é da quando tutti avevamo i pantaloni corti che si parla di cambiare la legge elettorale, tante volte é stata cambiata e spesso sembra una disputa incomprensibile viziata solamente dalla logica di partiti”.

Tradotto con il logaritmo bitcoin di Google Translate, significa che la riforma della legge elettorale non ha nulla a che vedere con gli interessi dei cittadini, ma solo con quelli dei partiti che vogliono principalmente: 1) scegliere i candidati, 2) candidare la stessa persona fino a 10 collegi, 3) il voto di preferenza (ma per i candidati nella lista decisa dai partiti), 3) non eliminare i piccoli partiti che potrebbero servire da ago della bilancia, e 4) avere un premio di maggioranza relativa. Tutto questo contornato da: la soglia di sbarramento, i capolista bloccati, la soglia d'ingresso, le preferenze, il proporzionale e via dicendo.
Da parte dei cittadini, questi vogliono semplicemente, 1) scegliere i candidati, 2) la governabilitá (maggioranza certa), 3) il rispetto della volontá popolare e, per essere realisti, 4) far gestire il premio di maggioranza ai partiti.

Proviamo ad immaginare un sistema semplice e logico che faccia prima gli interessi dei cittadini: la scelta dei candidati per ciascuna circoscrizione spetta agli iscritti del partito, con 15 candidati per la Camera e 10 per il Senato, messi in lista in base alle preferenze ottenute.

Bisogna eleggere 618 deputati (piú 12 all’estero) e 309 senatori (piú 6 all’estero e cinque a vita non eletti). La maggioranza certa si ottiene con 316 deputati e 166 senatori.
La volontá popolare si ottiene con 24 milioni di elettori per la Camera (51%), e 22 milioni per il Senato per partito. Ognuna delle 26 circoscrizioni in Italia (ed una per l’estero) puó eleggere 20 deputati e ciascuna delle 20 regioni puó eleggere 15 senatori.
Per le elezioni generali vincono i candidati con piú voti per circoscrizione e per regione. Ad esempio, se su 15 delle 26 circoscrizioni vincono tutti e 15 i candidati del partito A, questo porta alla Camera 225 deputati. Agli altri partiti rimangono cinque deputati per ciascuna delle 15 circoscrizioni. Ad esempio: 50 deputati per il partito B e 25 per il partito C.

Per il partito B vincono 15 candidati in 11 circoscrizioni per 165 deputati, il partito A prende 35 deputati ed il partito C, 20. Quindi si avrebbe il partito A con 260 deputati, B con 215 e C con 45. Se il partito A rappresentasse la volontá popolare (scelto dal 51% degli elettori che hanno votato un candidato, ed automaticamente il partito, o solo il partito), questo otterrebbe il premio di maggioranza di 120 deputati (questa volta scelti dal partito), se non la rappresentasse, il partito A e B vanno al ballottaggio solamente per vincere il premio di maggioranza.

Stesso procedimento andrebbe applicato per il Senato. Chiamatelo pure il “Seraphillum”.
Facendo seguito al commento di Mentana sappiamo che la prima legge elettorale entrata in vigore nel 1946 era la “Proporzionale Classica”. Nel 1993 fu cambiata nel “Sistema Elettorale Misto” (Legge Mattarella). Nel 1995 si votava con un “Sistema Elettorale Ibrido”. Nel 2005 con un ‘Sistema Proporzionale Corretto con un Premio di Maggioranza” (Legge Calderoli o Porcellum), che nel 2013 fu parzialmente dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale; poi nel 2016 si ebbe l’Italicum per la Camera e il Consultellum per il Senato.