Il Sociale
L’utopica equità del sistema sanitario
21 sistemi sanitari diversi tra una Regione italiana e l’altra che gestiscono cure, accesso ai farmaci e prestazioni sanitarie in maniera disomogenea e il più delle volte iniqua. Dalla sua nascita nel 1978, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) sembra andare avanti a suon di malasanità, dove il “governo” regionale detta le sue leggi. Gli interrogativi sorgono spontanei. Che fine ha fatto l’autorità dello Stato nella tutela dei diritti alla salute, che risultano i soli (art.32 del Titolo II «Rapporti etico-sociali» della Costituzione) ad essere definiti come «fondamentali»?Se il SSN non riesce a soddisfare equamente i bisogni dei cittadini, come risanarlo? L’Associazione culturale “Giuseppe Dossetti: I Valori Sviluppo e tutela dei Diritti” Onlus ha risposto in partnership con la Fondazione GIMBE proponendo la revisione dell’art.117 del vigente Titolo V della Costituzione, che era già stato oggetto di discussione alla Camera dei Deputati sino al licenziamento del DDL, il 10 marzo 2015. Non soddisfatto dell’intervento dell’ultima Riforma sul Titolo V, Claudio Giustozzi, Segretario Nazionale dell’Associazione, chiarisce il senso di questa sfida, mentre attende di presentare al Senato il documento innovatore.
Quando e come nasce il suo interesse per la Sanità come tutela dei diritti alla salute?
«Nel 2000, assieme alla nascita dell’Associazione Dossetti, quando già si parlava di Titolo V, di quello che sarebbe successo di lì a poco, nel 2001. Voglio ricordare che sin da allora la Sanità era di serie A e B. Il Titolo V non ha fatto che amplificare questo ampio divario». Può farci qualche esempio di disuguaglianza regionale rispetto al trattamento dei cittadini italiani? «Basti pensare all’ipocrisia nei confronti dei malati rari che non hanno avuto riposta, se non parziale o differenziata, da Stato e Regioni. Pensiamo poi alla realtà drammatica dei pronto soccorsi. Le cronache hanno ampiamente mostrato quello che manca in alcune Regioni o quello che - se in altre esiste - non può essere definito come tale».
Può spiegarci in dettaglio la proposta di revisione dell’art. 117. del Titolo V?
«Crediamo fermamente che per dare risposte certe a tutti i cittadini, nessuno escluso, ci debba essere una potestà statale che abbia la sua importanza legittima e che sia garante dell’art.32 della Costituzione. Mi riferisco al “Super Ministero Salute”.. Un cittadino, il cittadino che sappia che l’art. 32 è l’unico diritto ad essere definito come “fondamentale”, dovrebbe attendersi - in caso di bisogno - di non ritrovarsi su una barella, al pronto soccorso di un girone dantesco». Non crede che la Riforma che sostenete sia scomoda per certe realtà regionali? «Ovviamente sì. Vogliamo togliere alle Regioni il 30% dello stanziamento per la Sanità che è pari a 30 mila miliardi di euro. Questa cifra non viene spesa per le cure, ma serve a tenere in piedi i 20 pachidermi-gestori regionali. Vogliamo togliere questo privilegio ai soliti noti. Tutte le Regioni sono coinvolte, non solo quelle depresse con un piano di rialzo».
Che cosa si attende dalla Conferenza Nazionale che state organizzando il 15 giugno a Palazzo Montecitorio? Quali i prossimi obiettivi? «Il nostro obiettivo è il confronto con chi dovrà legiferare per suggerirgli, qualora ancora non lo sappiano, che in uno Sato dignitoso non si possono dimenticare i cittadini. Non c’è colpa nel nascere in una Regione o in un’altra, con una Sanità di serie A o di serie B. Si nasce già male in una condizione simile. Questo non riguarda solo la Sanità, ma anche il lavoro giovanile. Probabilmente le stesse persone che emigrano in cera di lavoro, troveranno altrove anche una Sanità di livello».
Elena Rossi