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Messi e quel mantello dell'emiro: sporcato il momento del trionfo in Qatar

di Lorenzo Lamperti

Il numero 10 argentino costretto ad alzare la coppa del mondo indossando un vestito tradizionale arabo: rispetto o definitivo inchino del calcio al dio denaro?

È stato il grande momento della rivincita per l'investimento da 220 miliardi di dollari del Qatar, che mette a tacere le critiche per la mancata tutela dei diritti umani (spesso pelose) della vigilia facendo indossare al giocatore più forte del mondo e dipendente di una squadra, il Paris Saint-Germain, proprietà del qatariota Al-Khelaifi. Il tutto mentre Infantino assisteva sorridente alla posa dell'indumento. Per molti l'immagine definitiva del legame tra il calcio e la Fifa e il business.

In realtà, il gesto ha suscitato il plauso dei social media della regione come segno di rispetto, ma in tanti hanno sottolineato come la vicenda abbia ucciso la spontaneità del momento più bello di Messi, peraltro oscurando i colori della sua splendida maglia argentina. Il commentatore della BBC Gary Lineker, ex giocatore, ha detto che è "un peccato che abbiano coperto la sua maglia" durante quello che è stato "un momento magico".

E allora, pur ancora con lo splendore negli occhi per la magnifica finale tra Argentina e Francia di domenica sera, non può che venire in mente l'immagine di Maradona portato in trionfo da compagni e gente comune sul campo dell'Azteca di Città del Messico nel 1986. Senza mantelli o altro a coprire la sua gioia. E nemmeno a coprire la sua rabbia anti sistema, che spesso si era scatenata contro la Fifa anche dopo il ritiro da calciatore e negli ultimi anni prima della sua morte, quando aveva lanciato accuse gravissime nei confronti del "governo del calcio mondiale". 

Niente paragoni, niente elegia di un campione immenso già finito in tanti manuali di retorica. Resta solo gratitudine per la grandezza della carriera di Messi. Ma l'immagine di Lionel con la coppa, la sua coppa tanto cercata, non sarà probabilmente ricordata tra quelle più belle della sua carriera. Non tra quelle più pure, così come puro è sempre stato il suo talento. Segno dei tempi che cambiano, evidentemente. E con loro cambia un calcio che prova sempre più a forzare la sua magia e a renderla spettacolo e business. Sperando che almeno quei magici 90, anzi ieri 120 minuti più i rigori, vengano preservati.