L'avvocato del cuore
Coronavirus, effetti collaterali: il mobbing familiare. L'avvocato risponde
"Avvocato, sono madre e moglie. Alla nascita di mio figlio ho deciso di occuparmi del bambino a tempo pieno. Purtroppo, da quando siamo costretti in casa, le frustrazioni professionali di mio marito si traducono in continue provocazioni e aggressioni verbali che suscitano in me un profondo stato di malessere. Cosa posso fare? Come posso difendermi?". Si può parlare di mobbing familiare? L’emergenza Coronavirus ha sicuramente incrementato in maniera preoccupante il fenomeno del mobbing familiare. Cosa si intende con questa espressione? E’ un concetto giuridico di recente introduzione, che comprende quegli atti di maltrattamento psicologico posti in essere intenzionalmente all’interno di un nucleo familiare, spesso oltrepassando il rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Per esempio condotte prepotenti, coercitive e vessatorie ripetute nel tempo e finalizzate a rendere fragile e manipolabile la vittima, tanto da causare gravi danni morali, biologici ed esistenziali. Esistono due tipologie di mobbing familiare:
• il mobbing coniugale, vale a dire attacchi e accuse sistematici al proprio partner o coniuge,
cercando di colpirne i suoi aspetti psicologici ed emotivi più deboli e più facilmente
aggredibili;
• il mobbing genitoriale, che consiste in comportamenti finalizzati ad escludere l’altro genitore
dall’esercizio della propria genitorialità, soprattutto in caso di separazione o divorzio.
Si manifesta con sabotaggi continui delle frequentazioni, ma anche con l’esclusione dai processi decisionali sui figli o addirittura con minacce e vere e proprie campagne denigratorie familiari e sociali. In questa drammatica situazione mondiale, il nostro Governo ha voluto adottare serissimi provvedimenti per contrastare la pandemia; il che ha comportato il cosidetto lockdown in tutto il Paese, la permanenza domiciliare e il distanziamento sociale.
Ecco allora che la convivenza “forzata” tra i partner, e, dunque, la mancanza per ciascuno di spazi propri e vitali, fa sì che le condotte aggressive spesso sfocino in atti persecutori e in maltrattamenti in famiglia. Questo scenario di obblighi e limitazioni, di perimetri di contenimento della libertà, favorisce la denigrazione, la svalutazione, la coercizione dell’altro; ma anche il ricatto, il silenzio inquisitore, persino, addirittura, la volontà di sopprimere l’altro. La violenza non è solo fisica ma anche psicologica: una violenza insidiosa, difficile da individuare, molte volte negata e banalizzata all’interno della coppia. Spesso, infatti, le insoddisfazioni professionali del proprio partner e la preoccupazione per i soldi che cominciano a non bastare più, diventano un’attenuante per perseguitare e vessare chi è intorno.
Lo stress e la tensione accumulata si traducono in provocazioni, insulti e attacchi psicologici fatti anche ai figli, quali vittime collaterali. Ecco questo è il mobbing: la volontà di annientare l’altro, partner o figlio che sia, per toglierlo davanti ai propri occhi. Per riacquistare il proprio spazio fisico e mentale. L’interdipendenza affettiva e materiale, infatti, che lega i vari membri della famiglia, li rende anche più vulnerabili e fragili, più disposti a maltrattare e a subire. E’ una catena devastante con molti risvolti psicologici complessi ed articolati. Quali sono allora gli strumenti a tutela dei soggetti mobbizzati? Secondo un orientamento consolidato, le continue vessazioni, le violenze morali e psicologiche subite costituiscono comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio previsti agli artt. 143 e 145 c.c., che di per sé giustificano, se si tratta di coniugi, l’addebito della separazione (Cass. Civ. n. 21296/2017).
Ma limitare gli effetti pratici del mobbing familiare alle sole conseguenze dell’addebitabilità della separazione, non rende giustizia alle vittime. Infatti, chi ha subito il male e il dolore può ottenere anche il risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) se è coniuge, ma anche se è partner, dimostrando che il comportamento dell’altro ha leso interessi costituzionalmente garantiti, quali l’onore, la dignità o la salute della vittima. Naturalmente c’è sempre il territorio penale da prendere in considerazione, sempre che i magistrati non preferiscano ritenere scaramucce coniugali questi orrendi e dolorosi comportamenti.
Dottoressa Violante Di Falco
Studio legale Bernardini de Pace