Coronavirus

Toni Capuozzo, Lettere da un paese chiuso: storie dall’Italia del coronavirus

di Claudio Bernieri

Alla ricerca dei nonni perduti: lo scrittore si confessa ad Affari presentato il suo diario ai tempi del Covid

“No, non è andato tutto bene finora col virus” ammette con amarezza Tony Capuozzo.

Un’Italia chiusa, ferita, impaurita... nelle lunghe settimane della quarantena da coronavirus.  Dal  gennaio scorso Toni Capuozzo scriveva appunti, idee, pensieri, ricordi che presto diventarono vere e proprie lettere.

E tanti aforismi:

“Propongo gli ambrogini di latta agli anziani sopravvissuti”

“Siamo figli della stagione dei diritti, non di quella dei doveri. Siamo followers, o pecore?“

“Scrivere è la mia mascherina, il mio giubbotto antiproiettile, il mio divano da strizzacervelli.

"Cosa faranno le anime belle? Una cena dei nonni? Una serata con le dentiere? Sapete cosa sono i vecchi? Cosa siamo?"

E’ nato così, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, un insolito “diario di guerra ” fatto di pagine sulla cronaca, sulla politica, sull’isolamento forzato, su uomini e donne alle prese con la vita e con la morte...  e poi  sua vita – volti conosciuti, amici che non ci sono più, esperienze ordinarie e straordinarie – in un parallelismo continuo, onirico, tra il dramma del presente e i ricordi del passato a Saraievo. Una narrazione malinconica e divertente al tempo stesso, dolce e amara, giovane e antica... Le Lettere da un Paese chiuso : innanzitutto, il racconto di un’umanità di cui facciamo tutti parte, in cui ognuno di noi si ritrova, ritratto dopo ritratto, carattere dopo carattere. Nessuno escluso.

Ora il diario su Facebook di Capuozzo esce come corposo libro; trecento pagine con la voce dell’autore ( un audio libro, dunque )  con un album fotografico,  e tanti disegni di autore.

E ci racconta: “ terrificante. Stanno organizzando crociere  dove non ci si ferma in nessun

Porto”

Ecco il sui libro in pillole in esclusiva per Affari.

Tony Capuozzo
 

LE MANI

" Il coronavirus ci impone il timore della stretta di mano, della tavolata di amici, del bancone del bar gomito a gomito, del bus all’ora di punta: non è una mascherina, è un lenzuolo che rende ognuno fantasma all’altro, siamo tutti come adolescenti che comunicano solo con il telefonino".

CONTE

Il conformismo giornalistico italiano non ha vergogna a stabilire che Boris Johnson sia un nazista, teniamoci stretto il nostro Conte e il modello italiano che tutti copiano, sembra la “mozzarella o il parmigiano reggiano”

COME INIZIA

 “Andrà tutto bene” mi è sembrato qualcosa che andasse bene per i bambini – guai a non essere sicuri ed ottimisti davanti a loro – ma fosse di una serenità amabile e disarmante, destinata a lasciarci soli, davanti al buio dei camion con le bare, al buio delle sirene delle ambulanze, al buio delle solitudini vissute insieme”.

IL RAZZISMO

“Tutto questo è tragicomico, anche per chi considera il razzismo una brutta cosa, e un pericolo da tenere a bada dentro ognuno di noi. Il fatto è che si sta affacciando un altro razzismo: quello sui vecchi. Su noi vecchi, e specie quelli che per acciacchi hanno difese immunitarie più deboli. Dicono: “Eh, era già malridotto”. “Ma hai visto quanti anni aveva…”. “Già, l’infarto, l’insufficienza renale”.

I VECCHI

“Sapete cosa sono i vecchi? Cosa siamo? Gente che ne ha viste tante, che spesso è sopravvissuta ad amici e parenti, è sopravvissuta alla fine di abitudini e parole, e nonostante questo, o forse proprio per questo, non svuota i supermercati. Anche perché, in un mondo in cui ci sono giovani che avrebbero picchiato l’anziano cinese, ci sono anche quelli che in bus non si alzano per farti posto, e sei bottiglie d’acqua son pesanti da portare”.

UFFICIO POSTALE

“Entro e la sala è vuota, le impiegate con mascherina, e un cartello avverte: “Prendete il numero e aspettate fuori”. Un signore anziano e corpulento in uscita incrocia una signora corpulenta in entrata, e borbotta qualcosa che non afferro sulla mascherina di quest’ultima. E lei “La porto per proteggere mia madre malata. Fatti i cazzi tuoi!”. Mi ricorda una scritta all’ingresso di Sarajevo: “Qui nessuno è normale”.

CIBO

“Michela Murgia, lo Chef Rubio della letteratura, si sarebbe lamentata della fine dell’emergenza che consentiva una certa distanza tra gli esseri umani (un po’ come nel lunedì del traffico uno rimpiange la domenica a piedi), essendo l’amore per le masse cosa diversa da quello per l’affollamento. Luca Zaia, governatore del Veneto, si lascia sfuggire qualche considerazione improvvida, in tempi di correttezza anche gastronomica, sulle

abitudini alimentari dei cinesi (per loro è l’anno del Topo) che verosimilmente si vendicheranno rifuggendo dagli scontrini milionari dei caffè di piazza San Marco”.

I GIORNALONI

“Qualche volta, invece, i titoli rassicurano fino al sorriso. Il Fatto Quotidiano titola così un articolo di ricostruzione storica sull’epidemia del 1918 del mio amico Leonardo Coen: “Spagnola: migliaia di morti, ma senza panico e psicosi”. Cioè 600mila morti, ma spentisi serenamente”.

LA MASCHERINA

“Non è iattanza, né sfida. Solo la convinzione sciocca e antica che esista un destino, e ci sono giorni in cui ti ribelli al destino, e giorni in cui lo accetti, sai che difendertene sarebbe un’inutile tracotanza.”

ATTENTATI

“Certe volte mi chiedo dove sia finito il terrorismo islamico, se le cellule dormienti rischino anche loro il contagio e se qualche dotto spieghi che il virus è la punizione di Allah per i miscredenti. Poi vedo che c’è stato l’altro giorno un attentato in Tunisia, e mi è sembrato paradossalmente un conforto: il mondo non è cambiato, qualcosa dura per sempre, che c’è qualcuno inchiodato al passato, che il caro vecchio disordine non è tramontato. Capisci in quei momenti che qualunque cosa è un rifugio: anche darsi una ragione di vita e di morte facendo il terrorista islamico. Anche credersi un unabomber”.

LETTERA AL SINDACO

“Però ho una piccola, balzana proposta da fare al sindaco Sala. Il prossimo 7 dicembre riunisca tutta la città a San Siro o in un posto più grande. Siamo gente che non ha ascoltato i nostri vecchi, che non sa che cosa sia una guerra, e forse per questo immaginava fuggito da una guerra chiunque cercasse solo un futuro migliore. Siamo gente che ha pensato di essere street fighter con un tatuaggio, o una rissa in discoteca. Siamo gente che non poteva non essere promossa e non poteva fare compiti troppo gravosi. Siamo gente che predica la solidarietà e accumula seconde case, che ama la globalizzazione e paga un filippino che gli pulisca casa. Diciamo “prima gli italiani”, ma intendiamo dire “prima noi stessi”. Scambiamo le appartenenze politiche per ideali, e le liti da reality per passioni: ci colleghiamo con la Casa, quanti milanesi se ne sono andati? Siamo gente che pensa che resistere sia far finta di niente, aperitivi o mostre.

AMBROGINO DI LATTA

“E dunque il sindaco Sala dovrebbe, il prossimo Sant’Ambrogio, dare un simbolico

ambrogino, di latta o di bronzo, a tutti quelli restati, per amore, per forza, per dovere, per pigrizia, perché non avevano dove andare, perché non hanno avuto il tempo di decidere”.

I NONNI

“Se ne vanno. Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. “

PERCHE’ SCRIVO

“Il nostro 11 settembre lento, senza rabbia e senza reazione, giorni in cui si può piangere senza ritegno, basta non farsi vedere dai figli, perché si piange in casa, non servono gli occhiali neri dei divi ai funerali, non servono gli applausi ai funerali, non servono gli applausi ai funerali, anche le estreme unzioni sono virtuali.”