Costume
Aurora Ramazzotti: "C'è chi adora essere incinta ma io..."
L'intervista a Vanity Fair, "la gravidanza non è stato il periodo idilliaco che mi era stato dipinto"
I suoi genitori che diventano nonni, invece, non fanno mistero di essere felicissimi
Mio padre è contento, mi chiede, è tenerissimo, mi emoziona. Mia madre è tutta un’altra storia: non si tiene, è come se avesse un figlio lei.
Michelle ha detto: «Farò casino con mio nipote, lo porterò a sciare, a fare sport, ho ancora tanta energia». Non ha pensato: anche meno?
Ha già la culla, il fasciatoio, il baby monitor, sta allestendo una stanza a casa sua. Io non avevo ancora comprato nulla, poi siamo andate a cercare delle tutine e lei ha preso quello che compravo io: così non mi devo portare tutto dietro come succedeva a lei, dice. Abbiamo tutto doppio: pannolini, aspiratori nasali, shampoo, forbicine... Ieri la guardavo, e la vedevo così contenta, mi commuovevo: cavolo, sono molto fortunata ad averla.
Perché ha abbandonato l’università?
Per tante ragioni. La principale è che ho ricevuto una minaccia di morte e ho dovuto iniziare a girare con la guardia del corpo e a cambiare il mio stile di vita. Non è stato un periodo facile.
Ce lo racconta?
Ero andata a vivere da sola a 19 anni con i soldi che avevo messo via, perché già lavoravo. Tutti i miei amici andavano all’università, però, e ho voluto iscrivermi a Sociologia con indirizzo in Spettacolo. Anche se ho avuto un’infanzia bellissima, non avevo una situazione familiare standard, poi mia madre si è risposata, mio padre si è risposato, bambini piccoli in casa, insomma: avevo bisogno di spazio.
Da sola ero una pazza, facevo mille casini, ma studiavo, anche: proprio nel momento in cui stavo iniziando ad assaporare la mia nuova indipendenza, è arrivata la minaccia. Dicevano a mia madre che, se non avesse pagato, mi sarebbe successo qualcosa magari il giorno dopo, o tra due anni, o dieci. Ero terrorizzata, e anche oggi è una paura che non se n’è andata del tutto. Il primo periodo è stato devastante, mentre i miei coetanei erano liberi, io ero in un tunnel: avevo paura a fare la spesa, figuriamoci frequentare l’università.