Costume
Coronavirus, quarantena e isolamento: manca il coraggio di esprimere le paure?
Siamo congelati in una reazione istintiva che sembra mancare di decoro. Decoro è certamente una parola oggi molto usata se riferita alle decorazioni, agli ornamenti esteriori. Desueta se riferita allo stile e all’eleganza negli atteggiamenti. Eppure dovrebbe esserci un decoro, un contegno nel vivere il grave dramma che siamo vivendo. Che a volte mi sembra biblico, certamente epocale.
Siamo attraversati da ogni sorta di paura ma ciò viene prevalentemente negato. E’ indicibile. Molto più di una volta, ora ogni spazio vuoto, sospeso, crea angoscia che non si sa sopportare con dignità e contegno. Che non può nè essere vissuta fino in fondo né condivisa. Che non ha diritto di parola. Ogni vuoto va riempito il prima possibile, così da non sentirlo.
Poniamo attenzione agli indicatori dello stress: la difficoltà o l’alterazione del sonno sono indice significativo. Come stiamo dormendo in questo periodo? Che sogni facciamo? I sogni sono la punta dell’iceberg del nostro mondo interiore e sono vie per gestire lo stress e le emozioni. Molti descrivono i propri sogni in situazione di isolamento come strani. Alcuni dicono di sognare di più e definiscono i propri sogni fantasmagorici. Di questi tempi riflettono le paure attuali: non respiravo bene, ero ricoperto da insetti, mi sentivo intrappolato…
Ma della calamità che ci sta coinvolgendo tutti, oltre che i sogni, che elaborazione consapevole e seria stiamo facendo? Sembra molto poco. Abbiamo perso la nostra identità definita esclusivamente dal ruolo lavorativo. La quarantena ci costringe con noi stessi: degli sconosciuti, se non abbiamo prima fatto una riflessione sulla vita e sul senso.
Così si sta imponendo un effettivo e reale silenzio collettivo, che è lungi dall’essere un’occasione per riprendere l’esercizio all’ascolto, per trovare dentro di sé parole nuove o dare alle parole nuove sfumature di significato. Scorrono tanta retorica e comportamenti buonisti. Una ubriacatura, questa c’è, di relazioni virtuali, che tolgono spesso la parola o la sostituiscono con quella breve, essenziale delle chat, dei social, degli emoticon. La socializzazione si è ridotta alla parvenza digitale.
Il bisogno dell’altro, che si denuncia e si lamenta in modo patetico e generalizzato, spesso falso, non sembra ci stia portando a forme di socialità “più ridotte” ma più ricche e concentrate. In cui il dare la parola ai vissuti intimi è in rapporto con un ascolto di cuore, magari trovando nuovi equilibri, ma sempre all’insegna della capacità di introspezione, di rispetto di sé, di riflessione.
Da molto la nostra vita si dipanava tra il lavoro e il tempo libero-evasione. Non basta distrarsi nella vita, bisogna anche interiorizzare e guardare se stessi. Finora siamo scappati lontano, come se noi fossimo il nostro peggior nemico. Dice Alda Merini: Attualmente non mi conosco.
*Maria Martello è formatrice alla Mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico da lei ideato, ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Cà Foscari, già Giudice on. Presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, autrice tra gli altri del volume “Sanare i conflitti “, Guerini e Associati Editore, “La formazione del mediatore” ed. Utet, “Mediatore di successo” ed. Giuffrè, “L’arte del mediatore dei conflitti”, Giuffrè, “ Educare con SENSO senza disSENSO” Franco Angeli.
maria.martello@tiscali.it