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I 50 anni di Fantozzi, protagonista della storia del cinema italiano

Il 27 marzo 1975 usciva al cinema il primo capitolo della saga dedicata al ragionier goffo e servile, incarnato da Paolo Villaggio. Lo specchio di un’Italia che non c’è più, o che forse sotto sotto ancora vive

di Andrea Soglio

Perché Fantozzi è uno "sfigato" di successo da 50 anni

«Aaaahhh com'è umano lei!». Era il  27 marzo 1975 quando usciva Fantozzi, il primo dei dieci film sullo sfortunatissimo e abietto ragionier Ugo Fantozzi interpretato da Paolo Villaggio. Debuttava così al cinema uno dei personaggi più amati, maschera tragicomica diventata icona, nata dall’acume cinico dello stesso attore genovese.

Per il suo cinquantenario ora Fantozzi torna nelle sale, proprio oggi 27 marzo 2025, nella sua versione restaurata dal laboratorio L'Immagine Ritrovata, con la supervisione di Daniele Ciprì. Abbiamo chiesto a Simona Santoni, critica cinematografica, di tracciarci un bilancio di questo personaggio diventato protagonista delle nostre serate davanti alla tv e che non stanca mai.

Fantozzi archetipo dell’italiano medio

Fantozzi è l’adattamento di alcuni racconti tratti dall’omonimo libro di successo scritto da Villaggio nel 1971. È  stato sceneggiato dallo stesso comico, mancato nel 2017, insieme a Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Luciano Salce, che dirige il film con mano sicura e graffiante, dettando il ritmo e orchestrando a puntino i tempi comici.

Servile, imbranato e pavido, antieroe per eccellenza, Ugo Fantozzi è più di un personaggio cult, è il rappresentante di un’Italia che non c’è più o che forse, sotto sotto, ancora vive. È l’archetipo dell’italiano anni ’70, medio-borghese, impiegato dalla vita semplice, animato da fallimentari sogni di riscossa. Il Sogno Americano, in versione italica, nel suo negativo.

In una società priva di solidarietà e di compassione, Ugo prova a farsi strada, ma ogni volta è schiacciato e retrocede. Ma lui, come le talpe al luna park prese a colpi di martello, dopo ogni mazzata ricompare. È il simbolo di una quotidiana sopravvivenza alla ferocia della vita da impiegato.

«Fantozzi è un curiosissimo combattente. È il più “grande perditore” di tutti i tempi. [...] Si è adattato a tutto e ha incassato tutto continuando a galleggiare e a sorridere. È stata vittima ma non ne è uscito sconfitto»: così Paolo Villaggio ha descritto la sua creatura.

Un uomo medio, anzi, mediocre. Ma anche un grande lottatore. Oggi che la semplicità del vivere degli anni ’70 sembra distante, mentre splendono filtri patinati, like egotici e sfavillanti ambizioni, quell’Italia perduta, in fondo in fondo, ancora risuona.

Fantozzi patrimonio della comicità

«Per me... la Corazzata Kotemkin...  è... una cagata pazzesca!». Chi non ha mai sognato di dirlo, magari uscendo dalla proiezione di un film thailandese sottotitolato dalla trama di difficile lettura (ogni riferimento alla Palma d’oro del Festival di Cannes 2010 è puramente voluto)?

Fantozzi, nel 1975, tra megadirettori e congiuntivi sbagliati, ha dato il la a un breviario di battute indimenticabili, da patrimonio Unesco della comicità. «Papà, perché mi chiamano Cita?», chiede a Fantozzi sua figlia Mariangela, di celebre bruttezza (interpretata da Plinio Fernando). «È… Cita Hayworth, una famosissima attrice americana, bellissima, era la più bella di tutte! Però sai cosa ti dico? Che tu sei molto più bella di lei. Forse».

E poi ci sono immagini iconiche entrate nella memoria collettiva come la nuvola che segue imperterrita il ragionier Fantozzi o il campetto disastrato dalla pioggia che ospita la partita di calcio tra scapoli e ammogliati. E poi la Bianchina scalcinata su cui viene gettata nella notte di Capodanno una vecchia stufa, le brame fameliche verso la calcolatrice signorina Silvani (Anna Mazzamauro), gli occhiali spessissimi dell’instancabile organizzatore di momenti creativi, il ragionier Filini (Gigi Reder).

Non  a caso, il termine “Fantozzi” è entrato anche nel dizionario. Treccani spiega così: “Uomo incapace, goffo e servile, che subisce continui fallimenti e umiliazioni, portato a fare gaffes e a sottomettersi ai potenti”.

Fantozzi fa ridere o fa piangere?

Ugo Fantozzi fa ridere o fa piangere. Ammettiamolo: alzi la mano chi, più che stramazzar dalle risate, più di una volta ha sentito una stretta al cuore di fronte alle vessazioni subite dal ragioniere senza spina dorsale. Come bevendo un Cynar, che poi dà una piacevole sensazione di rilassatezza, ma prima brucia.

Paolo Villaggio, con il suo Fantozzi, è stato un antesignano della risata cattiva al cinema. Il suo sarcasmo è spietato. C’è chi paragona il suo gusto surreale e grottesco ai personaggi umiliati e offesi di Gogol e di Čechov o allo spirito slapstick dei Looney Tunes. La serie tv Boris dei primi anni Duemila, esilarante e affilata, molto deve a quel primo Fantozzi.

Lo scrittore preferito di Paolo Villaggio? Era Franz Kakfa. E non sorprende. Fantozzi, con il suo corollario di personaggi strambi attorno, dal millantatore allo sbruffone, sembra la versione tragicomica e beffarda di un personaggio kafkiano. Paradossale e desolante.

A voi Fantozzi fa ridere o fa piangere? Fantozzi direbbe: «Facci lei».