Costume

Fiorentini: "La mia arte? Un tentativo di creare la visione di un vivere meno doloroso". L'intervista esclusiva al pittore

Di Lucrezia Lerro

Lucrezia Lerro dialoga con il pittore toscano Federico Fiorentini. Intervista esclusiva

Qual è la motivazione più forte che la spinge a dipingere quotidianamente?

La motivazione più forte è senza dubbio aver fatto della pittura il mio lavoro, un impegno da portare avanti unito alla curiosità di vedere risultati diversi nel tempo. Traggo motivazione anche da persone che mi sostengono, che apprezzano, in alcuni casi più di me, quello che faccio. Altre volte la spinta è data da un rinnovato entusiasmo, altre volte dalla mia testardaggine e curiosità. Non è sempre semplice, so che è quello che devo fare e ci sono, a volte, momenti in cui la frustrazione è forte e devo interrompere e non forzare.

Nel suo lavoro presta attenzione a ciò che accade nel nostro impoetico e disperato mondo piegato dalle miserie e dal dolore?

Nel mio lavoro generalmente non affronto temi specificamente sociali, politici o di attualità. Allo stesso tempo voglio credere che attraverso la scelta del colore, delle immagini, dei gesti, sia visibile o intuibile la sensibilità che ho per queste tematiche. Il mio è sempre un tentativo di ricercare e ricreare una visione di un vivere più accettabile, meno doloroso

Ricorda il momento preciso in cui ha avuto il guizzo dei colori e della tela? Quanti anni aveva?

Ricordo con precisione le prime volte in cui mi sono cimentato con i colori sulla tela. Avevo vent’anni. Ricordo lo stupore, l’entusiasmo, la forza e l’intensità provati durante queste mie prove iniziali, mai percepiti con altre esperienze, proprio per come si percepisce la realtà a quell'età.

Nel suo lavoro artistico anche la figura umana ha un ruolo preciso, le donne, gli uomini, i bambini… attualmente la violenza circola vorticosamente, arriva sulle sue tele? La trasforma in colori?

La figura umana è sempre misteriosa e per questo è sempre interessante affrontarla come soggetto, come tutto ciò che la circonda e produce intorno a sé. Sulla tela cerco di rimuovere l’orrore che investe le nostre vite, che sia vicino o lontano. Spesso la realtà riesce ad essere insopportabile e con quello che faccio riesco per un momento a distaccarmene e spero di poter offrire quel distacco a chi osserva. Nel nero dei miei quadri getto la tristezza e la esorcizzo. A volte tristezza e bellezza si tengono per mano e creano malinconia. La scelta del colore è sempre legata ai miei sentimenti, all’emotività, che è collettiva.

Ha un sogno artistico da voler realizzare? Ha in cantiere una mostra? Lei ha girato il mondo con le sue opere

Il viaggiare è per me uno stimolo costante: è vedere con gli occhi e la mente, è vivere le vite di altri, come una lettura attenta e partecipe. Viaggiare rende più leggeri e aperti all’osservazione, ad essere meno distratti, più attenti al circostante; è un tempo per registrare spunti e immagini da archiviare per una futura rielaborazione: tutto ciò si trasferisce sulla tela.

Una mostra è il momento che raccoglie vari risultati, il momento in cui si ha la possibilità di dare un corpo più chiaro al lavoro compiuto, un piccolo traguardo raggiunto e un momento utile per un confronto diretto con un pubblico. Sono sempre alla ricerca di occasioni dove poter intervenire o partecipare col mio lavoro. Come è accaduto ultimamente grazie all’amico regista Duccio Fabbri che ha scelto di inserire alcune mie opere in alcune scene della terza stagione della serie televisiva americana “the Bear”.

Ho letto qualche tempo fa in una sua bella intervista che nella pittura procede per tentativi, potrebbe spiegarmi in che modo? E la scultura quanto è importante per lei? Vive a Carrara, il cuore italiano delle cave di marmo

Ogni tela é un tentativo dopo l’altro, il ritmo cambia, ma sono continui i tentativi di evocare qualcosa di non chiaro, di misterioso su cui io non ho il controllo, qualcosa che nasce da solo. Il mio è soltanto un intervento, nel tentativo di riprodurre, ripetere qualcosa che ha una sua autonomia. Tentare richiede il ripetersi, ripetere in un modo che può apparire ossessivo, come per i bambini che ripetono lo stesso gioco, la stessa simulazione più volte senza per questo stancarsene, in una ricerca senza fine.

Il rapporto con la scultura è per me separato dal lavoro sulla tela, dove tensione, frustrazione e ricerca hanno avuto e hanno un ritmo continuo. Con il marmo ho un rapporto di svago, che mi distrae dalla solitudine del mio studio. Con la scultura ho un rapporto più leggero, quasi giocoso, lavorando su oggettistica e sculture di piccole e medie dimensioni.

Con la pittura sono invecchiato, ho un percorso che non ho con il marmo. Anche la pittura ha una sua componente di gioco, ma non sempre rilassante. A volte é come finire un bel libro che avresti voluto continuasse, altre è un sollievo chiuderlo; altre ancora sei felice di averlo letto perché ti ha restituito qualcosa di intenso e inaspettato.

Quando dipinge ha già in mente ciò che vorrebbe fare o è soltanto sulla tela che nascono le idee?

Capita di avere in mente qualcosa, ma generalmente non di chiaro e delineato. Posso avere in mente colori o soggetti, figure o scene urbane o in natura, ma molto raramente procedo con un progetto preciso, é nel fare che prende forma qualcosa da inseguire, qualcosa che rincorro. All’improvviso però posso correre in un’altra direzione, seguendo più percorsi sapendo che non esiste un punto esatto di arrivo. Mi accorgo di seguire più direzioni, più ricerche, ma l’elemento figurativo, come qualcosa di chiaramente riconducibile alla realtà visibile, è sempre presente.

Sulla tela osservo svariati passaggi e fasi: inizialmente quasi sempre comincio con dei colori, delle macchie, degli accostamenti di colori come in quadri astratti dove proseguo con elementi figurativi. Tutto quello che facciamo é dettato da sentimenti, emozioni e stati d’animo che influenzano il nostro modo di agire.

Nella sua formazione quali pittori sono stati fondamentali?

Ho iniziato a dipingere mentre studiavo. Mi piacevano molti artisti, non solo in pittura, direi in senso ampio in molte discipline. Mi affascinavano le loro vite prima ancora dei loro lavori e opere. Vite spesso intense o avventurose, comunque generalmente non canoniche. Mi affascinava l’intensità delle loro vite, osservare che la bellezza spesso, come ho già detto, tiene per mano la tristezza o una certa dose di dramma. Mi commuoveva e commuove ancora la loro sensibilità e l’idea che fossero esseri umani in qualche modo rimasti bambini, che il loro impatto sul pianeta fosse delicato. Nominarne uno ne escluderebbe troppi.

Alcune opere mi fanno pensare ad Edward Hopper, la città, il vuoto, la desolazione. Penso a “Domenica mattina presto.” Che cos’è per lei il vuoto in un’opera d’arte?

Edward Hopper, un artista che amo molto. Le città, le architetture hanno sempre un grande impatto visivo, una traccia affascinante spesso brutale del nostro passaggio sul pianeta, contenitori di esistenze e vite, di solitudine anche, sempre uno spunto per riflettere sulla condizione umana. Il vuoto o la mancanza sono una condizione sempre presente in tutti noi, sono una molla, una spinta a tentare, a ripetere il tiro, a modificarsi, a volte a migliorare.

In un lavoro il vuoto è dato da ciò che non viene detto o compiuto; un quadro, una tela sono uno spazio che viene poi occupato da colori e immagini; si può riempire o meno e può evocare o esprimere desolazione o caoticità e altri sentimenti. Il vuoto per me resta la mancanza, ciò che cerchiamo di raggiungere con la consapevolezza che appunto sia una meta estremamente rara se non impossibile da raggiungere, ma da perseguire.

La devozione alla pittura. Quante ore le dedica al giorno?

Sì, si tratta di una forma di devozione, di amore mai scontati. La costanza nel lavoro è importante come sono necessari i momenti in cui si stacca. Cerco di dare sempre continuità al lavoro; il tempo che si dedica al lavoro non rimane circoscritto alle ore effettive in cui si lavora direttamente, spesso continua in testa tutto il tempo.

Quanto sono importanti le regole, e quanto è fondamentale trasgredirle per creare?

Le regole della pittura non le ho studiate. Senza dubbio sono importanti per poterle trasgredire o per uscire da schemi prefissati. Le regole sono importanti, non solo quelle tecniche: ci sono quelle che diamo a noi stessi, l’onesta, l’umiltà di riconoscere i propri limiti e mancanze e poterci lavorare sopra, la regola di essere ciò che si è e di non pretendere di essere altro. Già riuscire in questo oggi è piuttosto trasgressivo